I passaporti falsi finivano in Iraq e Siria: una "talpa" al Poligrafico

Il sistema ideato da un dipendente infedele della zecca di stato, condannato a sei anni e 8 mesi

I passaporti falsi finivano in Iraq e Siria: una "talpa" al Poligrafico
I passaporti falsi finivano in Iraq e Siria: una "talpa" al Poligrafico
di Valeria Di Corrado
Lunedì 8 Gennaio 2024, 23:55 - Ultimo agg. 9 Gennaio, 09:27
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Come nel film americano “Mad Money”, in cui tre insospettabili addette alle pulizie di una filiale della Federal Reserve degli Stati Uniti organizzano un piano quasi perfetto per rubare le vecchie banconote destinate al macero, così un semplice magazziniere dell’Istituto poligrafico della Zecca dello Stato aveva trovato il modo per “bucare” il sistema di controlli e appropriarsi di migliaia di passaporti difettosi destinati a essere distrutti.

Documenti che, invece di essere triturati, finivano per alimentare un pericoloso mercato nero, con ramificazioni in Marocco, Francia e Albania.

Venivano ceduti a soggetti per lo più di origine magrebina con lo scopo di essere falsificati «per favorire l’immigrazione clandestina». E finivano in Paesi con governi instabili come l’Iraq, la Siria e l’Afghanistan.


L’inchiesta della Procura capitolina non è arrivata ad appurare se i passaporti fossero destinati a una rete di terroristi o di trafficanti di essere umani. Ma emerge come sia facile costruirsi una falsa identità e poi viaggiare per il mondo. I documenti spariti, per cui si è celebrato il processo conclusosi ieri nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia, riguarda uno stock di 4.000 passaporti (serie YA) restituiti dalla Questura di Milano al Poligrafico «in quanto difettosi del microchip». Ma c’è un altro stock da 219mila passaporti (con serie AA) su cui non c’è certezza riguardo la distruzione. Un quadro che all’epoca aveva talmente allarmato gli Stati Uniti, che avevano pensato di togliere l’Esta all’Italia.


La terza Corte d’assise del Tribunale di Roma ha condannato Massimo Salomone, il dipendente infedele della Zecca dello Stato, a 6 anni e 8 mesi di reclusione per peculato. Prescritti invece i reati di associazione a delinquere e falso. Il pubblico ministero, Carlo Villani, aveva chiesto per il 52enne romano una pena leggermente più alta: sette anni. L’ex magazziniere si era appropriato tra maggio del 2014 e settembre del 2015 di almeno 114 passaporti facenti parte dello stock di 4.000. Dall’apposita «serra» - il locale adibito al macero dei documenti fallati - Salomone «ometteva - si legge nel capo di imputazione - di distruggerli sfruttando la presenza di intercapedini ai lati della macchina, dove inseriva effettivamente i passaporti, simulandone così l’immissione nell’apposito spazio della trituratrice. Poi li raccoglieva nelle apposite buste dell’immondizia, eludendo i controlli interni ed esterni, e li caricava sulla propria autovettura, parcheggiata all’interno del Poligrafico». Chissà se il magazziniere si è ispirato nel suo piano criminale alla trama di “Mad Money” (uscito nelle sale sei anni prima e tradotto in Italia con il titolo “Tre donne al verde”), visto che anche le protagoniste del film invece di inserire le banconote usurate nelle macchine trituratrici, le infilavano nei sacchi dell’immondizia e poi le occultavano nei loro vestiti per portare i dollari fuori dalla filiale della Federal Reserve.


I giudici (due togati e sei popolari) hanno condannato ieri anche Mohamed Salah Chouli a 5 anni e 4 mesi di reclusione per ricettazione. L’algerino 48enne è accusato infatti di «tenere i rapporti con i falsari, procacciando clienti e organizzando i viaggi all’estero per la successiva consegna». Il collegio, presieduto dal giudice Antonella Capri, ha inflitto poi 3 anni e 4 mesi per ricettazione a Kamel Bechr, tunisino di 37 anni, stretto collaboratore di Chouli «per il quale si adopera, in modo sistematico, al ritiro dei documenti falsificati, per consentirne la consegna agli interessati ovvero portare ai falsati la “merce” da lavorare». I due magrebini li rivendevano, è il sospetto degli investigatori, a prezzi che oscillavano tra i 1.600 e i 1.800 euro. Il pm aveva sollecitato per entrambi una condanna a sei anni di reclusione.


L’INDAGINE
Le indagini avevano preso il via nel 2014, quando gli agenti della Polaria fermarono all’aeroporto di Fiumicino una cittadina straniera diretta a Montreal: viaggiava con un passaporto contraffatto che faceva parte dello stock di quelli destinati al macero perché difettosi. Da lì è scattato l’allarme su tutti gli altri. Dalle testimonianze ascoltate durante il processo, «emerge che i documenti falsi venivano utilizzati per consentire l’ingresso in particolare negli Usa e in Australia, non in Italia». Alcuni furono trovati ancora in circolazione nel febbraio del 2016. Resta il fatto che il passaporto italiano è il quarto più “potente al mondo”: al pari di quello statunitense dà accesso a 155 Stati. Ecco perché è così ambito per chi gestisce traffici internazionali di vario tipo, dalla tratta di essere umani, all’immigrazione clandestina, passando per le cellule terroristiche. Per questo i passaporti falsi italiani vanno a ruba nel dark web.
 

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