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Betlemme senza cristiani: «Chi poteva è emigrato»

Ma il lavoro dell'ospedale cattolico della Santa Famiglia continua a seminare concordia nonostante i tempi difficili

Betlemme senza cristiani, «Chi poteva è emigrato»
Betlemme senza cristiani, «Chi poteva è emigrato»
di Franca Giansoldati
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 19 Dicembre 2022, 11:00
4 Minuti di Lettura

Nicolas ha 18 anni, studia all'università di Ramallah, nei territori palestinesi, ed è uno di quei ragazzi che non hanno mai visto una condizione di normalità nei propri spostamenti. Fa parte della Generazione del Muro la barriera di cemento armato costruita nel 2002 da Israele per proteggersi dagli attacchi terroristici. «Lui come tutti i suoi compagni di scuola sono nati e cresciuti con il senso delle barriere, dell'isolamento e dei check-point da superare anche solo per raggiungere Gerusalemme che dista da Betlemme, un'ora e mezzo di strada» racconta Vera Baboud, prima sindaca donna della cittadina palestinese, in carica fino al 2017 ma ancora molto attiva in diversi progetti a sfondo sociale. La situazione generale in Palestina sta decisamente peggiorando, specie dopo il tracollo economico di questi due anni di Covid, con l'arresto pressoché totale dei flussi turistici che garantivano l'arrivo di pellegrini da tutto il mondo, alimentando l'indotto del settore: ristoranti, alberghi, trasporti, artigianato del legno. Il turismo è considerato una colonna primaria per l'economia e, a pochi giorni dal Natale, la ripresa dei pellegrinaggi fa sperare che l'economia possa riprendere fiato. Per la piccola comunità cristiana, sempre più debole e minoritaria, sarebbe un segnale importante. 

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In questi anni i cristiani che avevano un po' di risparmi da parte hanno venduto quello che avevano e sono emigrati altrove, Europa e Stati Uniti in testa, schiacciati da una parte dalla disoccupazione e dall'altra dal fanatismo che serpeggia minaccioso. «Il fatto che i cristiani rappresentino ormai solo l'1 per cento dell'area sta diventando un problema sistemico, considerando che hanno sempre avuto un ruolo fondamentale per stabilizzare la situazione generale» analizza il frate Guardiano della basilica della Natività, padre Luis Enrique Segovia. «Io sono qui da sei anni e sono testimone di un repentino cambiamento. Il loro crollo numerico ha fatto affiorare il radicalismo di matrice islamica che purtroppo sta permeando tra la gente. Prima non era così evidente». Ma invertire questa tendenza non sarà facile. «Il periodo di Natale ci induce a ben sperare visto che è una specie di termometro: dalle prenotazioni delle messe che sono state fatte immaginiamo che la situazione possa tornare a quella prima del Covid». Nel frattempo le principali attività in mano alla minoranza cristiana stanno spingendo sull'acceleratore della convivenza, del dialogo, della coabitazione.  

Uno dei luoghi a Betlemme nei quali si concretizza ogni giorno lo spirito cristiano dell'amore verso il prossimo resta l'Ospedale della Santa Famiglia gestito dall'Ordine di Malta in cui funziona un reparto di maternità dotato di un avanzato reparto di terapia intensiva neonatale, unico nella zona e punto di riferimento di tutte le partorienti della Cisgiordania. Medici e volontari seguono le gravidanze delle donne palestinesi con standard di eccellenza. «Nel 2021 hanno visto la luce 4600 neonati e sono state garantite 30 mila consultazioni ginecologiche», annota uno dei medici, Saba Abu Fahra. Per la stragrande maggioranza le partorienti sono musulmane ed è proprio questa attività medica di assoluta equidistanza a facilitare la strada della convivenza con l'esigua minoranza cristiana. Si tratta di un fattore non secondario che riesce a fare da scudo al fondamentalismo che viaggia silente sottotraccia e che di tanto in tanto affiora con clamore. Due settimane fa la piccola chiesa cattolica di Beit Sahour, vicino a Betlemme è stata attaccata da un gruppo di fanatici islamici, fortunatamente senza causare danni. «È stata una provocazione che fa però capire la dinamica di questo fenomeno» spiega ancora padre Segovia. In questo contesto i Cavalieri di Malta, sotto la guida del nuovo Grande Ospedaliere, una sorta di ministro della salute, voluto da Papa Francesco, Alessandro De Franciscis si stanno muovendo proprio per rafforzare ed estendere l'attività medica dell'ospedale Sacra Famiglia. La popolazione apprezza e difende questa realtà che da tempo si spinge anche nelle zone desertiche circostanti, abitate soprattutto da beduini, garantendo l'assistenza medica in loco grazie ad una unità mobile sulla quale pediatri e ginecologi visitano. Ecografie, esami, visite, controlli sul nascituro. 

Video

L'arrivo del furgone bianco con la grande croce rossa a otto punte, simbolo dell'ordine ospedaliero fondato ai tempi delle Crociate, è sempre atteso da ordinate file donne completamente velate accompagnate da bambini piccolissimi che attendono pazientemente il proprio turno. Per arrivare si fanno a piedi diversi chilometri su strade polverose. Wafa, 18 anni, incinta di 5 mesi racconta la propria riconoscenza: «Ogni mese posso controllare se la gravidanza procede bene. È il mio primo bambino e ho un po' paura. Sono di Gerico ma mi sono sposata con mio cugino che vive in quel villaggio» dice indicando in lontananza Kisan, mille anime in un gruppo di misere casupole, distribuite in una zona desertica a un'ora da Betlemme. Intanto nella cittadina palestinese simbolo universale della natività, il lavoro dell'ospedale cattolico della Santa Famiglia continua a seminare concordia nonostante i tempi difficili, parlando una lingua universale, l'unica capace di abbattere pregiudizi e fanatismo. Forse è anche per questo che Papa Francesco ha voluto rimarcarne il carattere spirituale e ospedaliero dell'Ordine di Malta e farne un punto di partenza per il suo rinnovamento. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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