Essere o non essere Tommaso Moro: la volta che Shakespeare si censurò sul dramma dei migranti

Tommaso Moro in Parlamento, gli attori nella sala della Regina
Tommaso Moro in Parlamento, gli attori nella sala della Regina
di Chiara Graziani
Venerdì 7 Luglio 2017, 22:15
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William Shakespeare si fermò davanti all'enormità dell'impresa: il Bardo che aveva scavato l'animo immondo di Macbeth, mettendoci davanti ad uno specchio - il Male siamo  noi se lo lasciamo esistere - fece invece un passo indietro davanti alla storia di un uomo normale, morto da appena 40 anni. Un martire del dio Potere che ne aveva decretato la damnatio memoriae, la cancellazione dal ricordo per avergli opposto la determinazione inflessibile di una coscienza limpida.

La vita e la morte di Tommaso Moro, cancelliere del Regno d'Inghilterra che rinunciò a carica e vita in nome della sua coscienza di cristiano, furono scritte da Shakespeare che volle dividere il rischio di una storia politicamente molto  pericolosa  con 4 coautori (l'unione fa la forza):  ma in scena non furono messe mai.


E si può dire che venerdì 7 luglio 2017 nella Sala della Regina di Montecitorio, ad opera della Compagnia Bella, con quattro secoli e mezzo di ritardo, un grave torto abbia trovato parziale riparo: il coraggio che occorreva a Shakespeare per sfidare Elisabetta, regina e figlia del re Enrico che pretese la testa di Moro per non averlo servito contro la Chiesa, non occorre più. Lo Shakespeare perduto torna in scena alla Camera dei deputati nell'interpretazione corale - godibilissima e di gran livello - di Andrea Carabelli, Giampiero Bartolini, Giampiero Pizzol, Andrea Soffiantini, Isotta Ravaioli. Torna in scena grazie al Cenacolo Tommaso Moro, all'infaticabile passione del professor Andrea Monda, ad un gruppo di parlamentari guidati da Paola Binetti e Maurizio Lupi che hanno coinvolto l'istituzione ottenendo la Sala della Regina  (Moro, dal 2010, è santo patrono dei politici).

 E grazie anche alla penna di Pizzol che, attorno al pretesto scenico del ritrovamento della toga da avvocato di Moro, ha costruito un testo composito dove, oltre al manoscritto ritrovato, e pubblicato solo nel 2014) irrompono anche Amleto, il mercante di Venezia, Enrico V, e la commedia "Un uomo per tutte e stagioni": (per chi non lo ricordasse usando l'espressione "uomo per tutte le stagioni" come equivalente di voltagabbana, questa definizione di Tommaso Moro si deve ad Erasmo da Rotterdam che intendeva dire "colui che resta uomo anche quando cambia la stagione". Uno dei tanti sfregi a Moro che andrebbe emendato).

Si scopre che Shakespeare nascose nel cassetto un gioiello, 150 righe di pugno, che non aveva il diritto di negare a noi uomini del travagliato secolo ventunesimo. Un monologo del giovane avvocato Moro che cerca di domare la folla bestiale di Londra insorta contro lo straniero immigrato. Era il 1517, esattamente 500 anni fa ed oggi sembra cambiato ben poco. Il popolo, opportunamente aizzato nella sua ignoranza, voleva ributtare a mare , vivi o morti, gli stranieri "colpevoli"  di sottrarre opportunità e lavoro agli inglesi. Se Shakespeare non avesse nascosto questo monologo che sembra parlare dei disperati di oggi (ipocritamente divisi fra migranti economici e non), avremmo molti alibi di meno e molte armi intellettuali in più. "Immaginate allora - scrisse -  di vedere gli stranieri derelitti, coi bambini in spalla, e i poveri bagagli
arrancare verso i porti e le coste in cerca di trasporto,
e che voi vi asseggiate come re dei vostri desideri
– l’autorità messa a tacere dal vostro vociare alterato –
e ve ne possiate stare tutti tronfi nella gorgiera della vostra presunzione. Che avrete ottenuto? Ve lo dico io: avrete insegnato a tutti che a prevalere devono essere l’insolenza e la violenza".
Ma non volle farcele leggere. A Shakespeare non bastò il coraggio di essere Tommaso Moro. E nel 2017 tutto si ripete.
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