Salerno, assenteisti del Ruggi: «Mancano prove del reato»

Le motivazioni della sentenza di assoluzione: «Indagini carenti»

Una infermiera che faceva la spesa durante orario di servizio
Una infermiera che faceva la spesa durante orario di servizio
di Viviana De Vita
Giovedì 4 Maggio 2023, 06:00 - Ultimo agg. 08:33
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Una prassi «illegittima» ma «non indicativa di una condotta fraudolenta» anche perché le indagini condotte dalla Procura sono state, per molti aspetti, carenti. È questo il cuore della motivazione con cui la dottoressa Lucia Casale, giudice della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno, lo scorso ottobre ha chiuso con 83 assoluzioni il processo di primo grado su uno dei tronconi della maxi inchiesta sugli assenteisti del Ruggi protagonisti della bufera giudiziaria che, nel 2015, travolse l’ospedale cittadino portando a galla un presunto sistema truffaldino nell’utilizzo dei badge.

In 182 pagine il giudice ricostruisce l’intero procedimento apertosi con il rinvio a giudizio sancito dal gup nel marzo 2017 e che, snodatosi per cinque lunghissimi anni, ha decretato, seppure con la formula dubitativa, che «il fatto non sussiste». 


A parere del giudice «la prova addotta dal pubblico ministero non ha centrato il focus delle condotte materiali» non riuscendo a provare, «oltre ogni ragionevole dubbio, che quei dipendenti non fossero in servizio, fossero assenti o fossero altrove». Dalle indagini – si legge nella sentenza – «è emersa l’esistenza, all’epoca dei fatti, della prassi diffusa, e certamente illegittima, della timbratura dei badge di altri colleghi o la timbratura reciproca tra colleghi dello stesso reparto con gli stessi turni o turni sequenziali». Le motivazioni addotte dagli imputati – assistiti dagli avvocati Gino Bove, Anna Sassano, Francesco Saverio Dambrosio, Genserico Miniaci, Michele Tedesco, Michele Sarno, Vincenzo Tondino, Agata Bisogno e Giovanni Del Grosso – sono varie: dalla dislocazione dei dispositivi marcatempo in luoghi distanti dai reparti, alle difficoltà di parcheggio nell’orario di punta da parte del personale che montava o smontava dai turni.

«Se da un lato – afferma il giudice – si tratta di motivazioni che non giustificano affatto la prassi illegittima, dall’altro squarciano il velo su condotte dai possibili rilievi disciplinari, ma non in sé indicative di assenze dal servizio e quindi di fraudolenta attestazione di presenza in servizio». È proprio questo il cuore della motivazione: «non è stato provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che quei dipendenti non fossero in servizio».

Sono stati gli stessi testi di polizia giudiziaria – argomenta il giudice – a ribadire più volte che le riprese sui dispositivi marcatempo non consentivano di verificare, né tanto meno era stata accertata nell’ambito delle indagini, «la presenza, nei pressi del dispositivo, del titolare del badge che in quel momento veniva obliterato da altri».

Soprattutto, i testi di pg, hanno riferito ripetutamente che nell’ambito delle indagini non hanno accertato «la presenza o l’assenza dal servizio dei singoli dipendenti nei giorni in questione al momento della timbratura o durante tutto l’arco del servizio». Non sono stati svolti servizi di appostamento, di osservazione e di pedinamento in modo da verificare che al momento della timbrature o durante le ore in cui il dipendente risultava formalmente in servizio, si trovasse invece altrove. Non è possibile quindi dimostrare né la truffa né l’assenza dal servizio. Inoltre «la carenza probatoria in ordine alla verifica dell’assenza al momento della timbratura discende anche dalla mancata indicazione, nella stessa imputazione, del lasso di tempo durante il quale si sarebbe registrata l’assenza dal lavoro del singolo dipendente il cui cartellino era stato timbrato da altri». Il giudice ha inoltre evidenziato che «le difese, con la documentazione prodotta e illustrata nelle memorie difensive, hanno dispiegato uno sforzo probatorio in senso contrario volto a dimostrare la presenza al lavoro degli imputati nei giorni o nel periodo in contestazione». La Procura, in ogni caso, ha già impugnato la sentenza depositando la richiesta di appello per tutti gli imputati.

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