Il padre viene ammazzato, i figli impiegano
20 anni per il riconoscimento di paternità

Il padre viene ammazzato, i figli impiegano 20 anni per il riconoscimento di paternità
di Petronilla Carillo
Domenica 7 Marzo 2021, 06:20 - Ultimo agg. 10:03
4 Minuti di Lettura

La mente dell’uomo superiore ha familiarità con la giustizia; la mente dell’uomo mediocre ha familiarità con il guadagno. È forse proprio nel pensiero di Confucio che trova risposta «l’inspiegabile comportamento dei consulenti tecnici» di cui parla il giudice del tribunale di Nocera Inferiore nella sua sentenza. Ricordando, nella ricostruzione della vicenda giudiziaria, come «nel 2016 il consulente nominato per la perizia rinunciò all’incarico. Per cui la causa subì una serie di rinvii, dovuti al susseguirsi di nomine varie di ctu, le quali, tuttavia, venivano sempre rifiutate». 

Una storia di indigenza economica ha rischiato di trasformare la lecita richiesta di tre ragazzi, quella di ottenere il cognome del padre morto prima di poterli riconoscere, in una storia di malagiustizia.

Ma, la caparbietà di un avvocato e la tenacia di un giudice, entrambe donne, hanno dato un finale diverso con il riconoscimento post mortem, e a distanza di venti anni, della paternità dei tre ragazzi. Il più piccolo, oggi non ancora ventenne, non era neanche nato quando il padre, a soli 23 anni, fu ammazzato. Ma aveva quattro fratelli, due dei quali erano stati riconosciuti dall’uomo nonostante non fosse sposato con la madre. E questo a causa di una storia personale del giovane padre il quale, inserito in un contesto criminale dell’agro, non faceva altro che finire in carcere. Il ragazzo (a 23 anni si è ancora ragazzi) aveva una storia con una sua coetanea dalla quale erano nati due bambini che erano stati riconosciuti. Poi si sono susseguiti gli arresti, le uscite dal carcere, le gravidanze, altri arresti e, quando pensava di poter regolarizzare tutte le sue posizioni familiari, con il matrimonio e il riconoscimento, alla nascita del quinto figlio, di tutti i suoi bambini, la morte ha posto fine ai suoi sogni e abbandonato al calvario la sua famiglia. Era il 2001.

I figli, crescendo, hanno però iniziato a soffrire della situazione: tutti fratelli di sangue ma non di cognome. Di qui la decisione di chiedere al tribunale il riconoscimento di paternità, prima a quello dei minori e poi a quello ordinario. Non avendo disponibilità economiche, accedono al gratuito patrocinio per l’assistenza legale. Se ne fa carico un esperto di diritto di famiglia, l’avvocato Alba De Felice. Inizia così un altro calvario: il riconoscimento dovrebbe avvenire attraverso la comparazione dei dna, ma per fare questo bisogna riesumare il cadavere. Ed è costoso. Quindi si decide di farlo con i fratelli e il nonno paterno, ma anche questi esami sono troppo costosi. Intanto cambiano le leggi e tutti i consulenti incaricati rinunciano. Così si lavora su carte e testimonianze fino a qualche giorno fa quando, al termine di un lungo iter giudiziario, il giudice sentenzia il riconoscimento della paternità.

«Si tratta di una pronunzia estremamente innovativa che, travalicando qualsiasi bieco formalismo giuridico, ha tutelato, in concreto, il diritto di questi ragazzi al riconoscimento del loro effettivo status di filiazione, la cui precedente incertezza aveva inevitabilmente arrecato molteplici disagi, danneggiandone purtroppo lo sviluppo e la formazione della personalità - commenta l’avvocato De Felice, presidente onorario Ami - È, inoltre, una sentenza essenzialmente giusta, poiché ha saputo mirabilmente individuare gli strumenti tecnici necessari onde salvaguardare, nel rispetto del principio di eguaglianza sostanziale, il diritto alla certezza delle proprie origini, che va necessariamente tutelato in ogni individuo, senza alcuna distinzione sociale». «Dopo tante mortificazioni, conseguenti proprio al fatto che io ed i miei familiari non potevamo affrontare i notevoli costi dell’esame del dna, oggi ho ottenuto finalmente giustizia» commenta invece il più piccolo dei tre fratelli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA