Salerno, violentata e costretta a prostituirsi dall'uomo conosciuto su Facebook: l'incubo della 19enne

Condannato l'orco 60enne, i giudici: "Riuscì a convincere la ragazza con problemi psichici che era solo una nullità"

Violenza e abusi subiti da una 19enne
Violenza e abusi subiti da una 19enne
di Viviana De Vita
Sabato 5 Agosto 2023, 04:50 - Ultimo agg. 16:34
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Una ragazza fragile e sola, vittima di violenze da parte della madre – che l’aveva cacciata di casa e l’aveva portata in una comunità – e sottoposta ad un clima di terrore psicologico da parte del padre, spesso ubriaco e aduso a condotte autoerotiche. Sono i giudici della Corte d’appello, a ricostruire in circa 50 pagine di sentenza, il calvario della 19enne originaria di Parma, che nel 2016 lasciò la sua città per raggiungere Salerno e coronare il suo sogno d’amore, finendo invece per vivere un inferno. Quell’uomo affascinante e premuroso che aveva conosciuto su Facebook, non esisteva: al suo posto c’era un 60enne che, per sei lunghissimi mesi, violentò la 19enne, affetta da un lieve deficit cognitivo, costringendola persino a prostituirsi e a corrispondergli tutti i guadagni percepiti.

I giudici della Corte d’Appello del tribunale di Salerno (Silvana Clemente presidente, Mariella Ianniciello e Maria Zambrano a latere) nel confermare la sentenza di primo grado a carico del 60enne Ulisse Voria – condannato a 4 anni e 4 mesi di reclusione per violenza sessuale, violenza privata, lesioni personali volontarie e induzione alla prostituzione – ricostruiscono il dramma della ragazza, assistita dall’avvocato Fabio De Ciuceis, che oggi ha finalmente cambiato vita. 

Era dicembre 2016 quando la giovane, sballottata tra madre anaffettiva, padre alcolizzato e casa famiglia, arrivò in città: fu l’inizio di un calvario protrattosi fino al maggio dell’anno successivo. Prima le botte, poi le violenze e, infine, le pretese: doveva prostituirsi. Voria la iscrisse ad un sito di incontri postando le foto della giovane in abiti succinti, reperendole i clienti, fornendole un’utenza telefonica ad hoc e accompagnandola agli appuntamenti. Il danaro, ovviamente, lo teneva tutto per sé. Poi iniziò a pretendere dalla ragazza, in modo sempre più frequente e ossessivo, rapporti sessuali tanto da provocarle una malattia venerea per la quale dovette sottoporsi ad un intervento chirurgico.

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Poi le violenze fisiche.

Percosse particolarmente violente in seguito alle quali la giovane finì in ospedale. Fu quella la sua salvezza. Al pronto soccorso la donna denunciò tutto. I giudici di primo grado hanno ritenuto attendibili e credibili le dichiarazioni della ragazza. Diversa la tesi della difesa, sostenuta anche in Appello, secondo cui non ci fu alcuna violenza né induzione alla prostituzione: la ragazza e l’imputato avevano intrecciato una relazione “passionale ed estrema” e lei stessa aveva accettato di iscriversi al sito di incontri. Per la difesa, la scelta di prostituirsi era stata libera e autonoma anche perché l’imputato, essendo persona molto benestante, non aveva bisogno di tale fonte di guadagno.

Nel corso del processo d’Appello, la difesa ha messo in dubbio la capacità testimoniale della vittima depositando una corposa documentazione sanitaria rilasciata dai medici del Csm di Parma che ebbero in cura la ragazza sin dall’età preadolescenziale fino al 2016. Decisiva, ai fini della sentenza di Appello, è stata la perizia del consulente della Procura che ha confermato la capacità testimoniale della ragazza smentendo, anche in parte, le conclusioni a cui erano giunti i medici del centro di Parma. Nella motivazione d’Appello, nel ritenere “contenuta” la sentenza di primo grado in relazione all’eccezionale gravità dei fatti, hanno evidenziato il continuo “svilimento” della donna da parte dell’imputato che, facendo leva sulla fragilità della ragazza, riuscì a convincerla di essere una nullità «brava solo a prostituirsi».

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