Napoli, chiude I misteri delle parole, «le parole farmaco e ponte tra medico e paziente»

L’evento è nato per migliorare la comunicazione tra oncologi, pazienti e caregiver

La conferenza. In videocollegamento, De Giovanni
La conferenza. In videocollegamento, De Giovanni
di Vincenzo Cimmino
Venerdì 16 Febbraio 2024, 22:44
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Come si può dare al proprio paziente una diagnosi di tumore? Come si può dire al guarito che è in corso una recidiva? Come si può comunicare a un altro essere umano che gli resta poco da vivere? La risposta, “attraverso le parole”, può sembrare banale. Ma non lo è. Quali sono le parole giuste? Rispondere a questa domanda è l’obiettivo de «Il senso delle parole – un’altra comunicazione è possibile».

La campagna di comunicazione è promossa da Takeda Italia con il sostegno di AIL, AIPaSiM, Fondazione Paola Gonzato - Rete Sarcoma ETS, salute donna ODV e WALCE e il patrocinio di fondazione AIOM. L’evento è nato per migliorare la comunicazione tra oncologi, pazienti e caregiver a partire dalle parole che vengono utilizzate nella relazione di cura. Cose che, purtroppo, non vengono approfondite all’interno delle Università.

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Ospite d’eccezione, per la giornata conclusiva che si è tenuta oggi 16 febbraio a partire dalle ore 18:30 nell’hotel San Francesco al Monte, è stato Maurizio De Giovanni, celeberrimo autore de “I bastardi di Pizzofalcone” e papà del commissario Ricciardi.

L’autore ha partecipato in videocollegamento alla “indagine” per capire come funzionano e colpiscono le parole, quelle di tutti i giorni come quelle usate in oncologia.

Per aiutare il medico, l’infermiere, il caregiver, sono state individuate 13 parole. Attorno a queste è stato pensato un viaggio per fare entrare “chi è dall’altra parte” ancora più in sintonia con i pazienti, con il loro vissuto. Parole come diagnosi, prognosi, recidiva, metastasi. Vocaboli che sembrano così lontani, così freddi, a pensarci bene sono vero incubo per tanti. E anche il loro suono cambia a seconda se si è pazienti o se si è “dall’altra parte”.

Un esempio, semplice. Se la parola “diagnosi” per il medico indica la semplice comunicazione di un giudizio clinico, per il paziente diventa la sintesi di un’esperienza piena di dolore e solitudine. Una parola capace di far crollare il proprio mondo. Viceversa, se la parola “remissione” è un momento di liberazione vissuto dal paziente, per il medico è solo la regressione dei sintomi della malattia.

«Le parole sono un farmaco, lo diventano nel momento in cui diventano un ponte tra il medico e il paziente. – dichiara De Giovanni, scrittore – Lo sono perché, come i farmaci, comportano una reazione all'interno del corpo del paziente. È una reazione costruttiva, è un'alleanza tra il paziente e il medico, nella prospettiva della guarigione o del tentativo della guarigione. Quindi le parole sono un farmaco e oserei direi anzi che sono il principale farmaco. Perché io credo che sia provata l'esistenza dell'enorme importanza per il paziente nel processo di guarigione. La consapevolezza del paziente nel processo di guarigione io credo che sia un elemento di enorme importanza».

«Una migliore e più efficace comunicazione tra professionisti sanitari può avere un impatto assai positivo nel vissuto di pazienti e caregiver, dovuto all’empatia, al calore umano, al senso di comprensione e di accettazione che si creano, fino alla compliance delle cure. – commenta Giuseppe Toro, Presidente Nazionale AIL – In ambito sanitario la capacità di comunicare, innata ma non sempre competente, può essere messa a dura prova a causa di numerosi ostacoli come, ad esempio, i tempi sempre più stringenti con cui i professionisti e gli operatori sono costretti a rapportarsi con pazienti e caregiver  È necessario istruire i diversi operatori all’ascolto, a non interpretare, a non giudicare e a esprimersi in modo chiaro, semplice, comprensibile per l’altro. Sono capacità a volte innate ma che richiedono una competenza e una pratica comunicativa che deve essere appresa, affinata e trasformata in un linguaggio efficace e responsabile. AIL, da 55 anni al fianco dei pazienti ematologici, ha tra i suoi principali obiettivi il miglioramento della loro qualità di vita, e anche per questo è lieta di far parte di questo importante progetto da sempre: perché i bisogni psicosociali dei malati passano anche attraverso la comunicazione, e migliorare la qualità delle relazioni tra malati, medici e caregiver è uno degli aspetti di cui dobbiamo costantemente occuparci».

«Questa iniziativa di Takeda Italia offre un contributo importante al problema della comunicazione tra medico e paziente e il terzo protagonista, il caregiver: quello di riuscire a creare un ponte tra i linguaggi. – sottolinea Maria Paola Tripodi, Membro Consiglio Direttivo AIPaSiM – Oltre a concentrarsi sull’uso appropriato delle parole, bisogna essere consapevoli che queste stesse richiedono prima di tutto l’instaurarsi di una relazione di fiducia che deve evolvere nel tempo, passando attraverso l’ascolto e la soddisfazione dei bisogni e delle aspettative dei pazienti  Le parole in cui si imbatte il paziente durante il dialogo con il proprio medico, come diagnosi, prognosi, metastasi, ricerca, devono essere trasmesse correttamente, in modo chiaro e rassicurante, perché risuonano nella mente del paziente per molto tempo, riflettendosi sul suo approccio alla malattia e alle terapie. Da questo punto di vista è fondamentale la capacità di facilitatore operata dal caregiver o da un’Associazione dei pazienti che possono essere disponibili all’ascolto di entrambi i protagonisti del percorso di cura».

Presenti all’evento Giuseppe Antonelli, professore ordinario di Linguistica italiana dell’Università degli Studi di Pavia, Alessandro Morabito, direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica Toraco-Polmonare dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Pascale di Napoli, Giuseppe Toro, presidente AIL Nazionale e Maria Paola Tripodi, membro del Consiglio Direttivo AIPaSIM. Maurizio De Giovanni era in videocollegamento. 

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