Mira Sorvino al Social world film festival: «Faccio l'attrice grazie alle radici napoletane»

«Sto cercando di imparare l'italiano, ma è difficile, la grammatica è complessa»

Mira Sorvino al Social world film festival
Mira Sorvino al Social world film festival
di Alessandra Farro
Venerdì 7 Luglio 2023, 11:00
5 Minuti di Lettura

Mira Sorvino, 55 anni, indossa un cappello a falde larghe rosa, delle scarpe da ginnastica dorate (ma in borsa custodisce un tacco 12 per le foto) e non stacca gli occhi dal mare: il premio Oscar per «La dea dell'amore» di Woody Allen è arrivata così alla tredicesima edizione del «Social world film festival», in svolgimento a Vico Equense fino a domenica, che la premia alla carriera. E confessa con un sorriso a trentadue denti, di essere fiera delle sue origini napoletane: «Mio nonno è nato ngopp o Vomero», scherza in un dialetto claudicante.

A proposito: dopo la relazione con Quentin Tarantino, nel 2004 ha sposato Christopher Backus a Capri: tanto fiera di avere sangue napoletano nelle vene da aver scelto la Campania come location?
«Passo tanto tempo a ripensare al passato napoletano di mio nonno, ho anche cercato (e trovato) il suo certificato di battesimo, andando a recuperarlo alla chiesa di San Gennaro in via Bernini, è un documento preziosissimo per me.

Sono felicissima di camminare sulle stesse strade che ha percorso lui un tempo, quando vengo a Napoli. Ognuno di noi conserva nel suo dna tracce dei propri antenati: io sono assolutamente orgogliosa delle origini di nonno Fortunato, gli italiani sono dolci, felici, spensierati. Mi sento a casa quando sono a Napoli e sognavo da sempre di sposarmi di fronte al Vesuvio, in un posto felice, ballando e cantando la tarantella che mia nonna mi suonava al pianoforte da piccola. Amo lo spirito partenopeo: voi siete tutti artisti, performer, adatti a calcare un palcoscenico. Non avete paura delle vostre emozioni, siete aperti ai sentimenti. I miei nonni hanno contagiato mio padre con questa energia e poi lui l'ha trasmessa a noi figli. Probabilmente se non avessi avuto origini napoletane non avrei fatto l'attrice, se avessi ereditato soltanto la genetica di mia madre (prevalentemente tedesca) sarei stata più chiusa, meno spontanea e meno creativa».

Si dice che Capurro si sia ispirato a una sua prozia per scrivere «O sole mio», notizia vera?
«È un'informazione trapelata da mio padre. La sua famiglia diceva che la sorella di suo padre, Luisa Sorvino, da bambina si appoggiava al davanzale della finestra della sua stanza al Vomero per ore, finché il sole non le riscaldava il volto. Capurro viveva nel palazzo di fronte e si sarebbe lasciato ispirare da quei raggi di sole che si infrangevano sul viso di Luisa per il testo, da qui: “O sole mio sta nfronte a te”. Non so se sia vera questa storia, ma a me piace pensare di sì. Ho partecipato allo show del Café Carlyle di New York, che propone agli artisti di raccontarsi attraverso 20 canzoni, e, per spiegare le mie origini napoletane, ho scelto proprio di cantare "O sole mio", peccato che la mia performance sia stata imbarazzante: la pronuncia, gli accenti, tutto sbagliato! Cercavo di ispirarmi a Caruso, ma non credo di esserci riuscita».

Vorrebbe lavorare a Napoli?
«Molto, molto, molto. Se dovessi, però, scegliere un regista partenopeo con cui lavorare non saprei farlo: ce ne sono tantissimi e tutti pieni di talento. Sto cercando di imparare l'italiano, ma è difficile, la grammatica è complessa. Ci avevo già provato ai tempi di “Il trionfo dell'Amore” con Bertolucci, ma con scarsi risultati. In compenso lo capisco benissimo: ho imparato da piccola, perché i miei genitori parlavano in italiano tra di loro, anche se si rivolgevano a noi soltanto in inglese, rifiutandosi di insegnarcelo. L'italiano per me era diventata la lingua dei segreti. Sto cercando anche di ottenere la cittadinanza italiana, sia per me che per mio marito che per i nostri quattro figli. Anche lui ama Napoli almeno quanto me. Intanto reciterò in un suo film ambientato a Roma, non è proprio Napoli ma almeno siamo in Italia e ci avviciniamo alla meta».

Parliamo di Harvey Weinstein?
«Dal 1998 al 2018 ho potuto lavorare soltanto con produzioni indipendenti: Weinstein mi tagliava fuori da tutti i casting importanti, come il Signore degli anelli solo perché mi ero rifiutata di accettare le sue avance. Avevo già ceduto due volte alle sue molestie, la prima in un albergo a Toronto, la seconda a casa mia a New York, la terza non ci ho visto più e sono scappata. Mi ha rovinato 20 anni di carriera, ma prenderei la stessa scelta senza esitare neanche un attimo. Io non sono in vendita e, come non lo sono io, non deve esserlo nessuna donna. Purtroppo, prima di capire cosa stesse succedendo, sono passati anni, soltanto dopo un tweet abbastanza recente di Peter Jackson ho capito come Weinstein avesse ucciso la mia carriera. Mi ero convinta di non essere più capace a recitare, di non piacere più, stavo perdendo completamente fiducia in me stessa. Ma, come diceva mia nonna in italiano: “Non tutti i mali vengono per nuocere” e oggi mi sento più determinata di prima, più convinta e pronta a interpretare qualsiasi ruolo: basta non fingere, ma recitare servendosi del cuore e non del cervello».

© RIPRODUZIONE RISERVATA