Francesco Del Prete, batterista fuori tempo e Showmen di periferia

Franco Del Prete
Franco Del Prete
di Federico Vacalebre
Domenica 21 Febbraio 2021, 16:03 - Ultimo agg. 16:07
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Nel libro («A tempo perso suonavo ogni giorno») che aveva voluto per raccontare i suoi 50 anni di musica, tra tamburi e parole per canzoni, tour e dischi, Mario Musella e James Senese, Franco Del Prete (Frattamaggiore, 5 10/1943- Napoli, 13/2/ 2020) si racconta a Mario Schiavone facendo suonare le parole, come se rullante e rototom scandissero il ritmo del ricordo, innescato da versi delle sue canzoni, da fotografie inedite, da amarcord che vanno dal mercato delle pezze dove lavorava la madre al Festival del proletariato giovanile di Licola (1975), dal padre assente al fratello, dal primo Nero a metà (Musella, appunto, indiano Cherokee di Piscinola) al Nero di Miano (Senese, naturalmente).

Eduardo De Filippo, ascoltando «A musica mia che r'è», dal primo disco dei Napoli Centrale, gli mandò un telegramma di congratulazioni, ma più dei successi, dei festival, dei Sanremo, attraversati con la sua batteria e le sue parole per canzoni («E la nave va» per Eduardo De Crescenzo, «Vera» per Sal Da Vinci) qui si racconta perché Franco aveva quel drumming che sapeva di terre diseredate, «di evera scarpesata» per dirla con Nino D'Angelo, di rabbia, di riscatti, di americani di Napoli, ma americani di provincia, napoletani di periferia.

Del Prete ha posto il suo nome alla base della storia del neapolitan power: con gli Showmen ha inventato il rhythm and blues all'italiana, con i Napoli Centrale il jazz rock all'italiana, oltre ad aver dato praticamente il primo ingaggio a Pino Daniele, sia pur al basso.

Parafrasando Piero Ciampi, Franco si racconta così: «Poteva essere una vita a perdere, la mia. Avrei dovuto fare ben altro. Avevo tutte le carte in regola, fin dalla nascita, per essere un perdente».

Ma le sue carte in regola, da artista, perdente o meno non conta, erano giocate in controtempo: «Storia di un batterista fuori dal tempo», dice il paradossale sottotitolo. «Franco della lentezza di quel tempo, provando e riprovando con costanza, ne ha fatto la ragione di una ricerca personale», dice Schiavone tra le pagine. È la lentezza della sua terra figlia di una Napoli minore, periferica come quella dei fratelli di sangue Musella e Senese («Fare l'amore almeno una volta al giorno» era il suo mantra in giovinezza»). Una «vita in due tempi»: Showmen e Napoli Centrale (senza nulla togliere ai Sud Express), prima e seconda moglie (con quattro figli egualmente divisi tra le due unioni), una vita raccontata qui in presa diretta e senza troppi abbellimenti, con quella veracità narrativa che caratterizza tutti i suoi brani: «Vengo da un mondo dove si vociferava che un giorno avrebbero portato il mare, proprio qui: al centro del mio paese. Il mare a Frattamaggiore: il mare!». Oppure: «Gli anni Settanta. I nostri anni Settanta, in cui non eravamo i Pink Floyd con il loro enorme maiale di gomma che svettava sulle teste della gente. I nostri maiali erano veri, di sangue e carne e ossa e pelle bianca e pelosa. Teste di maiali di campagna comprate per quattro soldi dai capifamiglia contadini, con cui potevano sfamare i loro figli». E, quindi: «Il nostro treno partiva proprio da Napoli Centrale per portarci in giro a spandere nell'aria un dialetto crudo e violento, sentendoci come animali selvatici alla ricerca di un terreno in cui piantare i nostri germogli musicali. E noi, in quanto band chiamata Napoli Centrale, ormai eravamo entrati nella nuvola di un sound sporco e crudo fatto di parole dialettali gridate da James Senese che sulle note e sulle parole del brano Campagna cercava di offrire un riscatto a chi veniva da una terra dimenticata e abbandonata».

Franco che dettò la prima lapide di Mario Musella: «Nott' e luna chiena, Musella s'né juto. I muorti accompagnavano o' vivo». Franco dagli occhi azzurri e le bacchette sempre a portata di mano, ma anche sempre pronto a farsi da parte, a scommettere sui giovani. Franco che voleva sempre essere in una band, anzi una banda per dirla con i suoi amati Blues Brothers, i Sud Express già citati, prima ancora gli Ascenn.

Nelle pagine di questo volume che inaugura una collana dedicata al neapolitan power (prossimo titolo annunciato su Rino Zurzolo) vibra l'anima del batterista fuori dal tempo, che non vuol dire fuori tempo, più che le sue gesta, la sua carriera. Un modo per dire «A musica» sua «che r'è».

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