Marco Mengoni allo stadio Arechi di Salerno: «Quando serve dobbiamo urlare»

«Non vedevo l'ora di tornare negli stadi, non vedo l'ora di godermi poi le arene europee»

Marco Mengoni allo stadio Arechi di Salerno
Marco Mengoni allo stadio Arechi di Salerno
di Rossella Rusciano
Sabato 24 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 25 Giugno, 09:22
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Allo stadio Diego Armando Maradona stanno ancora smontando il palco dei Coldplay, ma all'Arechi è già tutto pronto per accogliere Marco Mengoni questa sera con il suo tour. Trentaquattromila biglietti venduti, metropolitane in funzione fino alle due di notte, piano di mezzi pubblici e di parcheggi che Napoli non ha saputo/voluto mettere in campo, anche se ha sempre il tempo di ravvedersi provvedendo per lo show di Tiziano Ferro del 28 giugno, data in cui a Salerno si concluderà il tour di Vasco Rossi, con replica la sera dopo.

Ma oggi è il momento di Mengoni con il suo «Marco negli stadi tour», un sold out clamoroso che sfocerà poi nel concertone al Circo Massimo del 15 luglio, con ospiti come Elodie, Bresh, Gazzelle, Samuele Bersani.

Il giro di live viene dopo mesi intensissimi per il trentaquattrenne cantante di Ronciglione, tra la vittoria a Sanremo, la conseguente partecipazione all'«Eurovision song contest» e l'uscita dell'ultimo album della sua trilogia, «Terra (Prisma»). A proposito di Elodie, proprio ieri il duetto con lei sulle note di «Pazza musica» è risultato il più suonato nelle radio italiane.

A fronte di cotanti successi, impegni, responsabilità, tensioni, Mengoni ha costruito un tour all'insegna della gioia, della comunicazione, della libertà. Anche a costo di pagare pegno. Dopo la data zero di Bibbione, il debutto a Padova non gli ha permesso di tacere. Tra le venticinque canzoni in scaletta ha piazzato un monologo sui diritti negati, che ascolteremo anche stasera: «Questo mondo e questa vita sono tutto ciò che abbiamo e sarebbe giusto fossero più belli più equi e più facili per tutti, ma così non è! E allora è arrivato il momento di incazzarsi e lottare... perché forse, solo tutti insieme possiamo ancora cambiare le cose». Ma, nella città dove la Procura ha impugnato 33 atti di nascita con due mamme dichiarandoli illegittimi, ha sentito di dover fare un passo avanti, di dover fare riferimento alle famiglie arcobaleno, ribadendo il pensiero mostrato a Liverpool quando si è avvolto nella bandiera Lgbtqi+: «Una cosa dovrebbe essere proibita, poter decidere che cosa è una famiglia e cosa no, o di decidere sui bambini. Spero che ognuno di voi trovi l'amore e la felicità che si merita, spero riusciate ad essere felici sempre per godere di ogni momento di questa vita». 

In scaletta, con dieci pezzi dalla trilogia di «Terra» ed i suoi primi successi, a partire da «L'essenziale», con l'omaggio a «Muhammad Ali arrivano quello ai Talking Heads di «Psycho killer» e quello alla Tina Turner di «What's love got to do with it», divisa con i coristi, a cui affida interamente, invece, un medley in cui si (con)fondono «Dance to the music» (1967, Sly and the Family Stone), «Respect» (1967, Aretha Franklin), «Move on up» (1970, Curtis Mayfield), «Something got a hold on me» (1962, Etta James) e «Something special» (1986 Patti Labelle). Tra le schitarrate nervose ereditate da David Byrne, gli ululati imparati dalla «Queen Bitch» ed il giacimento danzereccio, ma non solo, della «great black music» emerge il riferimento di fondo di uno show difficile da inquadrare nel campo asfittico del mainstream all'italiana.

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Ma naturalmente, il momento più atteso è quello di «Due vite», anticipato dal suddetto monologo e da immagini che, di nuovo, mostrano la voglia di Marco di non pensare solo alle classifiche, ai numeri dello streaming, al consenso qualunquista: lo schermo rimanda scene di guerra, di cambiamento climatico, di battaglia per i diritti civili, di orgoglio (pride) omosessuale, di una manifestazione di «Black lives matter»... «Sono una persona attenta, con delle idee. Un uomo con un vissuto che a volte va anche urlato e condiviso con gli altri. Oggi che la condivisione non è più una priorità, avere questo atteggiamento può anche apparire un po' rivoluzionario», spiega lui, confessando poi di aver imparato a vivere meglio il fronte del palco: «Non vedevo l'ora di tornare negli stadi, non vedo l'ora di godermi poi le arene europee: ho una consapevolezza diversa rispetto a quella avuta finora. Oggi, infatti, so molto meglio di prima quel che voglio dal palco e quel che devo dare quando ci salgo sopra». Vediamo che cosa ne diranno i 34.000 dell'Arechi stasera. 

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