Sanremo 2024, Nino D'Angelo dice no a Ghali: torno all'Ariston solo in napoletano

Il cantante napoletano declina l'offerta: niente duetto sulle note dell'Italiano di Toto Cutugno

Nino D'Angelo
Nino D'Angelo
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Lunedì 29 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 19:16
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Nel 2020 Francesco Gabbani nella serata delle cover di Sanremo decise di presentarsi da solo, senza ospiti, e di proporre «L'italiano», vestito da astronauta. Si classificò secondo, alle spalle del magnifico Diodato di «Fai rumore», grazie anche all'omaggio a Toto Cutugno. Quel brano del partigiano-presidente appartiene alla storia del Festival e dei suoi verdetti-pasticciacci brutti, come quello del 1983, quando vinse la poi desaparecida Tiziana Rivale con «Sarà quel che sarà», solo quarte le «Vacanze romane» dei Matia Bazar, quinta la ballata di Cutugno, venticinquesimo addirittura il Vasco di «Vita spericolata». Servono commenti sulla terra dei cachi?

Nel 2024 «L'italiano», anzi «L'italiano vero», è al centro del progetto ideato da Ghali per la manche del 9 febbraio, vigilia di finale: con lui il rapper milanese di origini tunisine avrà il produttore Rat Choppe, con cui ha lavorato nel suo ultimo disco.

Una scelta da italiano di seconda generazione, in sintonia con il Cristicchi che già nel 2011 cantava di un «italiano vero... un italiano nero», ma anche in linea con il brano che porta in gara, «Casa mia»: «La strada non porta a casa se la tua casa non sai quale è... Casa mia, casa tua, che differenza c'è». Una lettera a un marziano, quello con cui lo si è visto girare nei giorni scorsi per le strade di Napoli. Una lettera anche politica: «Ma come fate a dire che è normale/ per tracciare un confine con linee immaginarie/ bombardare un ospedale./ Per un pezzo di terra o di pane/ non c'è mai pace».

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Per dire della sua italianità, dei tanti modi di essere italiani, per dire no alla xenofobia come al razzismo antisudista, Ghali aveva pensato a Nino D'Angelo e gli aveva chiesto di duettare con lui l'hit di Cutugno a Sanremo. Ma lui ha declinato l'invito: «Mi sarebbe piaciuto, ancor più per ricordare il mio amico Toto, scomparso il 22 agosto scorso. È giusto che il Festival lo ricordi, ma io... io mi sono promesso di tornare all'Ariston solo per cantare in napoletano». Una scelta, quella che dal 6 febbraio sarà riproposta da Geolier con «I' p'tte tu p'mme», che Nino ha frequentato tra i primi, e sicuramente più spesso di chiunque altro: era più in italiano che in dialetto «Vai», con cui esordì e si piazzò settimo nel 1986, ma erano veracissime poi la perla «Senza giacca e cravatta» con Brunella Selo (1999, ottava), «Mari'» (2022, quindicesima), «'A storia e nisciuno» (2003, quindicesima), «Jammo ja'» con Maria Nazionale (2010, non arrivata in finale) e «Un'altra luce» con Livio Cori (2019, ventiquattresima). Italiano vero certo, ma ancor prima napoletano vero e verace, insomma: cosa che a Sanremo non sempre è stata ammessa. E lui lo sa bene. E pensa al 19 giugno, quando tornerà al Maradona, non più in curva, ma nello stadio intero. 

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