Vascorock, a Salerno è qui
la festa di fine tour

Inni generazionali e ballate all'Arechi

Vasco a Salerno
Vasco a Salerno
di Federico Vacalebre
Giovedì 29 Giugno 2023, 07:23 - Ultimo agg. 16:34
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inviato a Salerno

Tramite il nostro giornale ieri Vasco aveva chiesto: «Salerno stendimi». E Salerno l'ha steso, e lo ristenderà stasera, chiusura del tour 2023, regalandogli un abbraccio d'amore e fedeltà riservato a pochi, forse a nessuno. Sessantottomila persone in due giorni, l'attesa sotto il sole, la voglia di esserci ancora una volta, di rispondere al richiamo del Komandante, di liberarsi dal peso quotidiano di una routine non esaltante, dei tempi precari.

Il signor Rossi più amato di tutti i tempi, quasi a vendicare quel cognome da un anomimato che poco gli si adatta, ha deciso di aprire le danze di questo giro di concerti con la poco frequentata «Dillo alla luna»: «Guardami in faccia quando parli», urla lui, urlano sul prato, urlano sugli spalti. Un tempo gli davano del sopravvissuto, così, a 71 anni, ha scelto di definirsi un «Supervissuto», come da titolo della serie che gli ha dedicato Netflix.

E, poi, eccola, «Stendimi», eccola la richiesta d'amore soddisfatto e ricambiato, ecco la serata prendere la piega inevitabile, diventare un «Rock'n'roll show» in cui brani recenti e meno tengono alto il clangore del suono, l'adrenalina, il racconto da provocautore: «Manifesto futurista», «XI comandamento», «C'è chi dice no», «Gli spari sopra».

Il suono è grasso e crasso, ma sa farsi secco (e sesso), è hard'n'heavy ma sa spogliarsi di ogni epicità per trovare una vena punk da magnifici perdenti. Le chitarre di Vince Pastano (che guida il gruppo) e Steve Burns piacciono più quando fanno muro di quando inseguono gli assoli, a garantire un impatto affiatatissimo ci sono anche Alberto Rocchetti, tastiere e cori; Matt Laug, batteria; Andrea Torresani, basso, doppiato nell'apparizione da guest star» di Claudio «il Gallo» Golinelli; Antonello D'Urso, chitarra acustica, programmazione e cori; Andrea Ferrario, sax; Tiziano Bianchi, tromba; Roberto Solimando, trombone; Roberta Montanari, cori. I fiati aggiungono colore con classe e brio.

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Poi, però, arrivano le ballate, forse persino più amate, di sicuro più cantate in coro dalla platea salernitana: «Vivere», «Canzone», «Se ti potessi dire». «T'immagini» arriva dritta dagli anni Ottanta, ma si cala, non solo musicalmente, nel presente, senza dimenticare che è, anche, un omaggio a Enzo Jannacci e Paolo Conte, da parte di uno che di omaggi ne fa pochi: «T'immagini/ la fregatura che han preso/ quelli che son partiti/ tutti di corsa, tutti quanti per il Messico/ Messico e nuvole». Lui stanotte, però, va al massimo, non in Messico, tra «fantasie, fantasie che volano libere/ fantasie che a volte fan ridere/ fantasie che credono alle favole». Ecco le fa-fa-favole: «Favole, favole, favole», favole raccontano tutti, s'accalora il Komandante, chiamando in causa Meloni e Salvini, i «comunisti» e i 5 Stelle. Quando il tour è partito dallo stadio di Bologna nominava anche Berlusconi, sparito ora dell'elenco per ovvie ragioni.

Un medley di venti minuti riassume sette brani, uno dei problemi di chi ha una discografia così lunga e copiosa è sempre non scontentare lo zoccolo duro dei fedelissimi lasciando fuori troppe pagine a loro care, come «Il blues di una corda sola» o «Incredibile romantica».

Il gran finale è una promessa, è un arrivederci sul fronte del palco, dove Vasco si sente a casa e il suo popolo pure: «C'è sempre l'estate prossima, se non arriva la fine del mondo, ci rivediamo a giugno, tra un anno», urla, per poi incendiare la notte con fuochi d'artificio che si chiamano «Siamo solo noi», «Sally», «Siamo solo noi», «Vita spericolata» sino ad arrivare all'inevitabile conclusione di «Albachiara», ed è chiara come l'alba la notte illuminata dal cantaurocker più amato d'Italia e dal suo pubblico sotto una pioggia di coriandoli.

Perché in tempi senza punti di riferimento, senza ideologie, senza credo, conforta il rito liberatorio del canto condiviso, il rompete le righe cullato da quella melodia insieme tenera e feroce, il ritratto di una giovinezza non ancora violata dalla vita: «E quando guardi con quegli occhi grandi/ forse un po' troppo sinceri, sinceri, sì/ si vede quello che pensi, quello che sogni/ E qualche volta fai pensieri strani/ con una mano, una mano ti sfiori/ tu sola dentro la stanza/ e tutto il mondo fuori». Il cielo in una stanza, in uno stadio, in una canzone. Negli occhi azzurri di Vascorossi scritto tutto attaccato, nella Salerno che festeggia con lui la fine di un tour da 450.000 spettatori, e si dice che l'anno prossimo farà ben oltre, con l'idea di arrivare a riempire San Siro sette volte, o anche dieci, se non contingenteranno l'uso dello stadio. Robe da Supervissuto.
 

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