Vinicio Capossela dottore a Napoli: «La mia laurea disonoris causa»

Il novello dottore in Lingue e comunicazione interculturale in area euromediterranea si commuove

Vinicio Capossela dottore a Napoli
Vinicio Capossela dottore a Napoli
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Mercoledì 27 Settembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 28 Settembre, 07:13
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Il novello dottore in Lingue e comunicazione interculturale in area euromediterranea si commuove, anche se cerca di non dare a vederlo, seduto in prima fila nella basilica di San Giovanni Maggiore, dove l'Orientale ha deciso di conferirgli una laurea honoris causa. Prova a scherzare, Vinicio Capossela: «Tra i tanti riti di cui mi sono interessato non c'era questo, anche perché io non mi sono mai laureato e non sono andato alle lauree di miei amici: quei pochi che ci sono arrivati non mi hanno nemmeno invitato». E ricorda quella targa di dottore in «rovinologia» che ha fatto affiggere sulla porta di casa sua. Chissà se ora la cambierà.

Ermellini e tocco d'ordinanza si sprecano nella chiesa, li indossa anche il neodottore, abituato ai travestimenti in scena. Dopo il minuto di raccoglimento in memoria del presidente Napolitano nel giorno dei suoi funerali, tocca al magnifico rettore Roberto Tottoli spiegare i motivi dell'alloro e lo fa magnificamente quando riassume: «Vinicio è uno di noi». Lo ripetono, con dotte e sentite parole, Giuseppe Cataldi, direttore del dipartimento di Scienze umane e sociali, e la laudatio di Anna Mongibello, ordinaria di Lingua e Linguistica inglese.

Ma il senso è quello: «Vinicio è uno di noi», detto dal cuore di un'università finestra sul mondo nella Napoli città aperta.

E lo conferma il cantautore, scrittore, affabulatore, provocautore, comunicautore, dottore, aprendo la sua magistrale non-lectio magistralis: «Io qui vorrei proprio iscrivermi», dice, elencando materie di studio, «che farebbero bene a tutti, altro che parlare di invasioni di migranti e chiacchiere di questi giorni, che si mette sotto accusa un direttore di un museo egizio come quello di Torino perché spalanca le porte agli islamici: ma siamo noi che dobbiamo pagare e ringraziare per quella cultura». Vinicio «uno di noi» porta a casa la laurea dell'Orientale soprattutto perché capace di farsi «ponte», la parola più usata in questa mattinata, opposta ai «muri», ai «respingimenti», ai «fermiamoli a casa loro». Vinicio «uno di noi» in questa università vorrebbe studiare le lingue degli autori che ama per leggerli in versione originale, Vinicio il cantautore di cui si apprezza la musica come il valore letterario dei versi, la capacità di lavorare sulla tradizione come l'apertura verso il nuovo, il cocktail di culture e di ispirazioni, colte e non.

Ma il neodottore è tipo problematico, non si loda e non si imbroda e pone dei dubbi a se stesso, gli stessi che sono alla base della sua discografia, dei suoi libri, dello «Sponz fest». Perché, lo sa bene, i «ponti» possono servire anche ad invadere, a colonizzare, sono terreno di incontro ma anche di scontro. Ecco, allora, il suo elogio alla «complessità», alla polisemia della città di Napoli, «che è poli-tutto: poliamorosa, policulturale, polireligiosa». Da frequentatore di canti e ritualità popolari si chiede «dove finisca la divulgazione ed inizi l'appropriazione, come frequentare le musiche folcloriche dopo che è scomparso il mondo che le ha generate». Il leniniano «che fare?» ritorna a sorpresa come interrogativo centrale. Una risposta arriva dall'«Ariosto governatore», con la frustrata esperienza politica in Garfagnana dello scrittore, a cui, disarmato dall'impossibilità di migliorare la vita di chi doveva amministrare, non restano che le parole: «Se il senno è sulla luna/ qualcuno l'ha raccolto e lo raduna/ Se la ragione è qui che si conserva/ vuol dir che sulla terra/ non è rimasta che follia».

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Non è l'elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, e nemmeno il tema dell'ultimo «Sponz», «Come li pacci», ma siamo in zona. Raffaele Tiseo e Peppe Frana accompagnano lo chansonnier con i loro strumenti a corde, la non-lectio magistralis diventa ancor più magistrale quando cantata. Con i pazzi a suggerirci se non «che fare», almeno da quale racconto ripartire, sono i poeti, i cantastorie, ed eccolo, «L'aedo», proprio il sommo, Omero, con il suo «canto nascosto nel tempo con voce di pietra». L'aedo irpino nato ad Hannover spiega poi come un sonetto calitrano gli abbia ispirato «L'acqua chiara alla fontana», chissà quanto e come imparentato al Brassens tradotto da De André. Chiede un applauso per il corpofonista Enzo Del Re di cui rende con gusto «Scritt'ra», prima di ringraziare Napoli - dove tornerà il 12 ottobre per un concerto all'Augusteo, che (de)canterà addirittura sotto la piramide del Louvre il 15 dicembre - e tutti all'Orientale con la sua versione di «Core ngrato», attenta al testo come i tenori di tutto il mondo non lo sono stati mai. E se, come pure è stato detto, il mare è tra i temi centrali della sua intera opera, insieme all'apprezzamento per la/le diversità, l'ultima canzone non può che essere, «Le sirene»: il loro canto incanta, sino a paralizzare. «Può succedere con la cultura, con la conoscenza. Meglio non esagerare e tornare ogni tanto alla vita». Mai laurea fu più meritata: non sono solo canzonette, ma, poi, che belle le canzonette. 

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