Ripley su Netflix, Andrew Scott protagonista: «Al mio truffatore serviva il bianco e nero»

Girato in Costiera Amalfitana dove il protagonista legge Il Mattino

Andrew Scott sul red carpet
Andrew Scott sul red carpet
di Francesca Scorcucchi
Domenica 7 Aprile 2024, 08:00 - Ultimo agg. 8 Aprile, 07:19
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«Scrivere è un sostituto della vita che non puoi vivere». Così Patricia Highsmith vergava nel suo diario. Era il 1950, aveva 29 anni a da lì a poco avrebbe creato il più iconico dei suoi personaggi: Tom Ripley, ladro, truffatore e assassino. Certamente è meglio scrivere che vivere una vita come quella di Ripley. Oppure seguirne le avventure sullo schermo, per la sesta volta.

È infatti ora su Netflix «Ripley», miniserie in otto puntate che prende spunto dal primo romanzo della saga della scrittrice texana, Il talento di Mr.

Ripley, lo stesso che Anthony Minghella portò al cinema nel 1999, protagonisti Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow.

Ripley viene ingaggiato da una facoltosa famiglia newyorkese per convincere il figlio a tornare a casa da una ormai troppo lunga vacanza in Italia, ma le cose prendono una brutta piega quando, ossessionato dallo stile di vita del rampollo, tenterà prima di conquistarne fiducia e amicizia e poi di rubarne l’identità.

Sceneggiata e diretta dall’autore di «Schindler’s list», il premio Oscar Steven Zaillian, fra New York e l’Italia (costiera amalfitana, dove si vede il protagonista Andrew Scott leggere «Il Mattino» del 1961, Atrani, Roma, Firenze, Venezia), la serie vede nel cast anche Johnny Flynn, Dakota Fanning, Margherita Buy, Maurizio Lombardi e John Malkovich che nel 2002 aveva interpretato proprio il famigerato truffatore nel film di Liliana Cavani «Il gioco di Ripley», secondo romanzo della saga della Highsmith. 

Matt Damon, John Malkovich, Dennis Hopper diretto da Wim Wenders. Persino Alain Delon fu Ripley nel primo dei film tratti dai romanzi della Highsmith, «Delitto in pieno sole» del 1960. Mister Scott, ha sentito il peso della responsabilità di tanti illustri precedenti? 
«Per fortuna no perché la nostra è una interpretazione molto diversa rispetto ai film che sono già stati fatti. Soprattutto è la prima che si concede i tempi lunghi della serialità».

È un vantaggio? 
«Enorme, perché ti consente di entrare più addentro alla personalità così complessa di Ripley. I libri della Highsmith non sono fatti per essere letti tutti di un fiato, sono da assaporare. La stessa cosa può essere fatta con la nostra miniserie. È per questo che la serialità è il mezzo che a mio avviso meglio si presta a sviluppare questo tipo di racconto lungo».

Come definirebbe la personalità del protagonista? 
«È un bugiardo seriale, un uomo profondamente infelice, scontento della propria vita, non un assassino nato, al contrario. Ripley si trova a compiere atti spregevoli nel tentativo di risultare migliore della nullità che è, nel tentativo di sopravvivere al castello di bugie che ha creato e dal quale viene sopraffatto». 

La serie è girata completamente in bianco e nero. 
«Una scelta del regista che ritengo perfetta per descrivere le atmosfere cupe dei romanzi. Siamo venuti in Italia in inverno proprio per evitare la luce del Mediterraneo. Se Patricia Highsmith avesse lei stessa pensato a una trasposizione cinematografica - o televisiva - dei suoi romanzi noir, sono certo che l’avrebbe pensata in bianco e nero».

Com’è stato girare in Italia? 
«Una bellissima esperienza. Ero ammirato dagli attori italiani sul set che magari lavoravano con noi solo per un giorno, spesso recitavano in una lingua che non era la loro ed erano perfetti. La loro grande professionalità mi ha colpito molto».

Tom Ripley in questa serie ha un legame profondo con l’arte, in particolare con Caravaggio. 
«È stato un colpo di genio di Steven Zaillian. In fondo Ripley e Caravaggio non sono molto distanti. Sono artisti entrambi, il primo è un artista della truffa, l’altro non ha bisogno di spiegazioni. Entrambi geniali e oscuri, entrambi per buona parte della loro vita fuori dai margini della legalità. Anche Highsmith e Caravaggio hanno molto in comune. Seppure in ambiti diversi sono stati artisti che hanno rappresentato la realtà del mondo per come è, nella sua crudezza, senza alcun tipo di edulcorante».

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