Tudor al Napoli, ecco il sergente di ferro tuta e passione

Dall'Olympique Marsiglia allo stadio Maradona

Igor Tudor
Igor Tudor
di Marco Ciriello
Martedì 14 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 19:16
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Era un calciatore che piaceva tanto agli allenatori, ora è un allenatore che deve ancora tanto piacere ai calciatori. Ma Igor Tudor è un uomo abituato alla transizione. Ha passato la vita in campo ad avanzare e retrocedere in base alla visione dell'allenatore di turno e alle sue esigenze. Per il carattere una roccia: un uomo a una dimensione, niente a che vedere con Herbert Marcuse, come calciatore molto duttile e ora anche un allenatore duttilissimo capace di ragionare con quello che ha in rosa. Se fosse uno chef sarebbe uno da cucina internazionale aperto alle contaminazioni dei posti che visita, se fosse un film sarebbe cinema muto, azioni e poche parole: più Bud Spencer che Charlie Chaplin. Tudor è un verbo di movimento, condizionato da troppi infortuni (soprattutto una caviglia canaglia). E come tutti i calciatori che hanno avuto poco in campo, si aspetta tanto dalla panchina. Per ora la sua partita migliore come allenatore resta quella con l'Olympique Marsiglia in Coupe de France contro il Paris Saint- Germain, e anche il suo risultato migliore: terzo in Ligue 1. Come da calciatore della nazionale croata: terzo ai mondiali del 1998, poi sarà anche vice allenatore con Igor Timac. E prima quando saltò il mondiale del 2002, fece dire a Zvonimir Boban uno che spesso fa a botte con i complimenti «Tudor a questa Croazia manca più di me».

Il padre calcistico di Tudor è Edy Reja che se lo piazzò di fianco sulla panchina dell'Hajduk Spalato. Ma il suo modello è Marcello Lippi (che lo elogiò tantissimo dopo il gran campionato da allenatore del Verona), anche se poi da Marsiglia ha aggiunto Giampiero Gasperini con derivazione Juric e persino Marcelo Bielsa, che continua ad aleggiare negli spogliatoi del Vélodrome come Bernard Tapie sulle tribune. Per Tomislav Ivic e Arrigo Sacchi era un fenomeno mettendolo tra Marcel Desailly e Frank Rijkaard per Carlo Ancelotti era rivedibile. «Noi della scuola slava giochiamo sempre la palla, ce l'abbiamo nei cromosomi, siamo bravi coi piedi, mica spazziamo via, neanche i difensori».

Rivendicando la tecnica come calciatore, dimostra, poi, di apprezzarla come allenatore rivelando una sensibilità verso la creatività e la scioltezza posizionale nell'ultimo quarto di campo, anche se i suoi metodi spaventarono Dimitri Payet che voleva andarsene dall'OM, ma poi rimase e la roccia duttile Tudor, senza smettere di tormentarlo negli allenamenti, seppe lasciarlo divertire in campo.

Il suo è calcio aggressivo e verticale. È un allenatore in tuta campo e conferenze stampa più che in giacca e cravatta, forse era questo che intendeva quando evocava Bielsa. La tuta, che a Napoli fa pensare ancora a Maurizio Sarri, è appartenenza ma indica anche la divisa da spogliatoio che Tudor sembra non lasciare mai. Maniacale, loquace e disponibile a patto che duri poco, alle parole devono seguire i fatti, scorrendo le sue interviste non si trovano mai dichiarazioni senza pallone, da calcio s'intende, niente basket eppure è 1,92, era «quello jugoslavo alto» per Gianni Agnelli o pallanuoto, niente guerra, siamo gente di campo, questo sembra dire tra le righe Tudor nelle sue interviste. Parla spesso di ritmo e di corsa, vuole le sue squadre in continuo movimento marcature a uomo, difesa in avanti e intensità tanto che a Marsiglia a chi si lamentava degli eccessivi allenamenti mostrava quelli di Jakob Ingebrigtsen: mezzofondista norvegese, campione olimpico e mondiale nei 1500 e nei 5000 metri. Sa e ammette e racconta che nel calcio si possono ottenere risultati in tanti modi diversi e quindi tutti possono avere ragione, ma lui preferisce la fatica, senza gli sembra di imbrogliare. «Potremmo parlare per ore, ma per me, nel mio calcio, c'è una particolarità, ovvero che devi correre. E se non corri non ci siamo. Se vedo qualcuno che non corre in allenamento, lo dico una, due volte e la terza intervengo. Quest'ora e un quarto di allenamento devono essere svolte in modo approfondito. Sono stato chiaro fin dall'inizio e mantengo ancora la stessa linea, perché penso che possa portare dei risultati. Poi il giocatore si adatta oppure no. Poi passano i mesi, il giocatore si adatta e qualche volta cala un po', ma io rimango uguale, guardo e dico: Ehi, sono ancora qui». Sì, fa pensare a Gunny di Clint Eastwood, e sembra Gennaro Gattuso passato per la Nunziatella. Ma la fatica è il suo verbo e funziona, anche perché è stato spesso chiamato come subentrante e a qualcosa deve appigliarsi oltre al modulo. Subentra al Galatasaray (quarto posto); subentra all'Udinese (e lo salva); subentra all'Hajduk (quarto posto); subentra al Verona (e lo salva), poi arriva al Marsiglia post Jorge Sampaoli e tra le contestazioni, ma conquista tutti proprio con il suo metodo da scoglio scivoloso, si piazza e tutte le onde lo bagnano senza spostarlo. È un allenatore modernissimo, con un caratteriale-muro capace di riportare uno spogliatoio in sommossa. «La chiave è stata il primo incontro con il presidente (Pablo Longoria) e il direttore (Javier Ribalta), prima di firmare qui. Ho detto loro: Vengo se è così e così, mi seguite oppure no? Mi hanno detto sì, ti sosterremo, vieni e fai quello che vuoi fare. Dovevo essere sicuro che stessimo andando nella stessa direzione. Perché se non abbiamo la stessa visione di un club, di come dovrebbe essere gestita una squadra, con una gerarchia molto chiara, non verrò». Dice di aver imparato tutto dalla Juventus, che ritiene anche il club più forte al mondo negli anni in cui ci giocava opinioni almeno Aurelio De Laurentiis non dovrà scoprirlo dopo l'addio come con Cristiano Giuntoli.

Tudor è molto amato dai tifosi della Juventus proprio per questo attaccamento alla squadra, anche se poi la sua esperienza sulla panchina bianconera come vice di Andrea Pirlo non è andata per niente bene e lui dopo ha svelenato un bel po' con la stessa franchezza che mette nei giudizi positivi. Non ha il candore di Vujadin Bokov né l'ironia di Velibor Bora Milutinovic ma ha bevuto dalla stessa fontana e quando parla con le pinze vale la pena di ascoltarlo. È ortodosso nel metodo e quindi negli allenamenti, meno sulla lavagna tattica, perché è figlio di un ragionamento tattico Marcello Lippi che lo avanza da difesa a centrocampo e quindi conosce i benefici di un incontro tra il pensiero e la tecnica, per questo Khvicha Kvaratskhelia non dovrebbe correre pericoli, restando un fantasista e non diventando un centometrista nel suo eventuale schema tattico. Anche se poi ripete: «Devo seguire la mia idea di gioco e scegliere quelli che si adattano a quell'idea» e subito dopo sviolina Luka Modric: «Da quando lo conosco si avvicina ad ogni partita con la stessa voglia. Ha qualità tra le due orecchie, non solo nelle gambe. Perché il calcio si gioca sempre con il cervello». Igor Tudor, un uomo e un allenatore in transizione. 

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