«Picchiata e calpestata, salvata dal mio bambino»

Il dramma vissuto da una 42enne che ha denunciato dopo anni di abusi

Alba Bianconi, coordinatrice della Comunità di Spazio Donna
Alba Bianconi, coordinatrice della Comunità di Spazio Donna
di Nadia Verdile
Giovedì 24 Agosto 2023, 12:08 - Ultimo agg. 25 Agosto, 07:21
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Picchiata, umiliata, violentata nell'animo e nel corpo, Maria (nome di fantasia), napoletana, 42 anni, da uno è sotto l'ala protettiva di Spazio Donna, in una delle due case rifugio della cooperativa. «Non lo auguro a nessuno eppure lo so che siamo in tante». La voce rotta da un sussulto di emozione, Maria fatica a raccontarsi ma accetta di farlo perché sa che può essere di esempio per altre. «L'ultima volta mi ha lasciata a terra. Mentre cercavo di proteggermi il viso lui mi dava calci e mi calpestava. Ho gridato a Giovanni (il figlio ndr) di chiamare aiuto e lui è corso per strada così sono arrivati i poliziotti». Ma insieme ai poliziotti arrivò quella sera anche l'assistente sociale di reperibilità e Giovanni, che aveva nove anni, fu portato via. Maria, nonostante fosse stata massacrata, non denunciò il marito criminale, 46 anni, laureato in giurisprudenza, impiegato in un'azienda privata.

«Più brutto delle botte fu scoprire, al mio ritorno a casa, che Giovanni non c'era più. L'avevano portato via e io non sapevo dov'era. Quelli sono stati i giorni più brutti della mia vita, quelli, non quelli delle botte». Solo tre settimane dopo, quando ormai aveva capito che senza la denuncia non avrebbe rivisto il suo bambino, Maria andò, accompagnata da un'amica che la convinse a rivolgersi al Cav, in ospedale dove, a distanza di venti giorni, le diedero una prognosi di un mese. Con quella diagnosi andò a denunciare il marito aguzzino.

Fu poi affidata, dopo aver riavuto con sé il piccolo, all'ospitalità e alle amorevoli cure delle operatrici di Spazio Donna a Caserta.

«È tutto molto difficile spiega Alba Bianconi, coordinatrice della Comunità di accoglienza per donne maltrattate di Spazio Donna perché quando fuggono dalla violenza si trovano sole, senza nulla, piene di paure, dolori nel corpo e nell'anima, devastate dai ricordi, dalle preoccupazioni per i figli e dall'incognita del futuro. Quando non hanno un lavoro e sono completamente dipendenti dal marito è un calvario nel calvario».

Maria a Caserta ha fatto il suo percorso di rinascita. Giovanni ha frequentato la quinta elementare in città. Occhi intelligenti, mente acuta, ma è silenzioso. Parla poco, osserva molto e nei confronti di mamma Maria ha sviluppato un ossessivo senso di protezione.
«Cosa vuoi dalla mia mamma» mi ha detto quando sono arrivata. Ci ho messo un po' per convincerlo che volevo solo prendere con lei un caffè. «La mia preoccupazione ora continua Maria è che devo lasciare questo posto perché i mesi sono passati e senza un contratto di lavoro nessuno mi fitta la casa. Non possiamo rimanere ancora qui, ho bisogno di un contratto». E c'è da fare i conti anche con l'ottusità della burocrazia. «Da mesi non riceviamo più il contributo per Maria dal comune di Napoli aggiunge Bianconi perché il tempo previsto per legge per il reinserimento va da tre a sei mesi. Così stiamo provvedendo noi al suo mantenimento. Eppure Maria, da quando ha fatto la denuncia è stata solo ascoltata dai giudici. Da allora non c'è stata ancora neanche un'udienza. I tribunali sono sovraccarichi di lavoro, tutto resta in attesa e la vita delle persone è sospesa».
Nell'esperienza di Spazio Donna ci sono casi drammatici che hanno avuto buon fine ed altri che, proprio a causa delle lentezze burocratiche hanno avuto esiti infausti come nel caso di Filomena, vittima delle violenze del marito e del figlio che è poi finita in un dormitorio pubblico.
 

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