Sandokan Schiavone condannato
all'ergastolo per la tredicesima volta

Sandokan Schiavone condannato all'ergastolo per la tredicesima volta
di Mary Liguori
Mercoledì 12 Febbraio 2020, 08:00 - Ultimo agg. 14:14
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È il tredicesimo ergastolo che inchioda in cella l’irriducibile boss Francesco «Sandokan» Schiavone quello emesso ieri in Corte d’Assise a Napoli su richiesta della Dda. Il sostituto procuratore Antimafia Vincenzo Ranieri ha chiesto e ottenuto il massimo della pena per il capoclan detenuto al 41 bis per l’omicidio di Vincenzo Martino, detto «bicchierone», assassinato il 19 febbraio del 1998, a Capua.

La vittima aveva 49 anni e cadde pochi mesi prima dell’arresto di Sandokan, avvenuto l’11 luglio dello stesso anno, in un periodo in cui gli eserciti della camorra seminavano terrore e sangue in tutto il Casertano. Le altre persone accusate del delitto sono già state processate e condannate con rito abbreviato. Il boss ha invece scelto il processo ordinario dal momento che per lui non ci fu, quando la Dda ricostruì l’omicidio, in tempi molto recenti, neanche ordinanza di custodia cautelare. 

Salgono dunque a tredici, come detto, gli ergastoli inflitti a Schiavone. Un fine pena mai quanto mai realistico, un record che comunque non sfiora neanche lontanamente le condanne al massimo della pena collezionate da altri temibili capiclan campani, come Ferdinando Cesarano, giunto addirittura a quota trenta. Nonostante la prospettiva di terminare in carcere la propria esistenza, Schiavone senior ha più volte negli ultimi mesi ribadito la propria ferma volontà a non collaborare con la giustizia e ha preso le distanze dal figlio, Nicola, che invece si è pentito più di un anno fa. Irriducibile, dunque, l’aggettivo che meglio lo descrive.

Lui che, durante il processo Spartacus, al termine del quale i giudici di Santa Maria Capua Vetere decretarono con una sentenza l’esistenza del clan dei Casalesi, si rifiutava di comparire in videoconferenza perché non accettava d’essere esibito come «una fiera in gabbia», parole sue, di recente ha invece più volte accettato di assistere al processo attraverso le telecamere. E in più di un’occasione ne ha approfittato da un lato prendere le distanze del clamoroso pentimento del suo primogenito, dall’altro per lanciare invettive contro i magistrati.

Proprio durante il processo per l’omicidio Martino, c’è stato il primo vero sfogo di Schiavone dopo decenni di processi. «Mi sembra che in aula ci sia il pm Ranieri ,- disse il boss durante l’udienza del 27 febbraio del 2019 – Lei pure, dottore, dovrebbe chiedersi perché i pentiti non dicono subito le cose.. poi ci sono i suggeritori... gliele fanno dire». Il pm Ranieri è il magistrato che ha seguito l’iter del pentimento di Nicola Schiavone. Durante la stessa udienza, Sandokan chiamò in causa anche il suo ex socio, Iovine, accusandolo di tacere informazioni importanti circa i suoi affari con il fratello, «dei milioni che hanno guadagnato grazie al patto stretto con politici e imprenditori». 
La sentenza di ieri chiude il processo e gli annessi show del padrino.
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