Sessa Aurunca, braccianti sfruttati e presi a cinghiate: nei campi anche per dodici ore

14 i cittadini extra-comunitari coinvolti nello scandalo

Sessa Aurunca, braccianti sfruttati e presi a cinghiate
Sessa Aurunca, braccianti sfruttati e presi a cinghiate
di Biagio Salvati
Sabato 17 Febbraio 2024, 08:26 - Ultimo agg. 18 Febbraio, 18:59
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Avevano battezzato la loro azienda agricola “Campofelice” ma, contrariamente a quanto si poteva immaginare dal nome, l'ambiente lavorativo era tutt'altro che rosa e fiori. Quattro imprenditori agricoli del Napoletano - tutti imparentati tra loro e con attività operativa nelle campagne del Casertano - stando a una inchiesta della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, avrebbero sfruttato lavoratori immigrati senza permesso di soggiorno approfittando del loro stato di necessità e bisogno, utilizzando illegalmente manodopera clandestina. Reati che hanno consentito ai quattro indagati di procurarsi anche un ingiusto profitto dall'Inps, con un danno di oltre settantamila euro. I carabinieri del Nil (Nucleo Ispettorato del Lavoro), infatti, ieri hanno eseguito una misura di divieto di dimora in provincia di Caserta nei confronti dei quattro su provvedimento del gip del tribunale sammaritano, Orazio Rossi.

Si tratta di un padre e due fratelli residenti a Marano di Napoli: Giuseppe Rinaldi, 64 anni; i figli Domenico e Vincenzo Rinaldi, rispettivamente di 36 e 32 e del cognato di questi ultimi (nonché genero di Giuseppe), Salvatore Di Biase, di 42 anni titolari della società agricola “Campofelice” con sede legale a Marano ma titolare di appezzamenti di terreni tra Sessa Aurunca e Mondragone «esercente l'attività di coltivazione di alberi da frutta».

Dall'inchiesta della Procura della Repubblica guidata dal magistrato Pier Paolo Bruni, emergono episodi inquietanti commessi a vario titolo dagli indagati nei confronti di immigrati clandestini. Presi a cinghiate per un momento di riposo o riaccompagnati a casa e lasciati senza cure invece che in ospedale dopo un malore. Secondo l'accusa, non c'erano diritti, neanche i più basilari, per i braccianti agricoli stranieri impiegati nella raccolta di ortofrutta. Assenza di contratto, e paghe basse pur lavorando dalle 10 alle 12 ore al giorno.

Inoltre, nel caso di un momento di riposo scattavano insulti, minacce e cinghiate.

L'indagine è partita in seguito ai controlli effettuati dai militari dell'Arma sui terreni agricoli e attivati dalla task force anti-caporalato prevista dal progetto «Su.Pr.Eme». I carabinieri hanno notato braccianti stranieri che raccoglievano ortaggi scoprendo che nessuno aveva un contratto, costretti a lavorare per 30-40 euro si è poi accertato.
A sostegno dell'indagine i racconti degli immigrati e riscontri provenienti da intercettazioni. I soci Rinaldi avrebbero comunicato all'Inps un minor numero di giornate lavorative svolte dai dipendenti, procurando così alla società un vantaggio finanziario illecito stimato in circa 72mila euro.

Questa cifra è stata calcolata sulla base delle giornate lavorative effettivamente prestate dai lavoratori, in particolare 14 cittadini extra-comunitari, ai quali veniva corrisposto un compenso inferiore a quanto dovuto, con gravi conseguenze sulla loro condizione economica e sociale. Parallelamente, Salvatore Di Biase, cognato dei fratelli Rinaldi, è stato coinvolto nel reclutamento e nell'abuso dei lavoratori. In qualità di collaboratore e autista dell'azienda, Di Biase conduceva i lavoratori stranieri nelle campagne di Cellole, Sessa Aurunca, Carinola e Mondragone, sfruttandoli in varie forme. Il caso riporta alla mente la figura di Jerry Masslo, simbolo degli immigrati che si ribellarono al lavoro nero nei campi di pomodoro con una protesta organizzata a Villa Literno nel 1989, zona che dista di pochi chilometri dalle campagne dove i carabinieri hanno scoperto un nuovo sfruttamento di lavoratori.

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