Alessandro Barbero, Brick for stone: «Racconto l'11 settembre da un altro punto di vista»

«Ho messo in scena anche i monologhi di uno dei terroristi»

Alessandro Barbero
Alessandro Barbero
di Francesco Mannoni
Sabato 8 Aprile 2023, 10:00
4 Minuti di Lettura

«Con questo romanzo ho tentato di scrivere la storia dell'11 settembre 2001 (anno 1421 dell'Egira) da un altro punto di vista, ma guai se qualcuno si aspettasse di trovare dei retroscena storici credibili: il romanzo e un'opera d'invenzione abbastanza folle, tanto che non so nemmeno io come mi sono venuti in mente dei personaggi così strampalati».

Questi personaggi bizzarri (veri e inventati) capeggiati da Harvey Sonnenfeld, agente Cia emarginato, sono i protagonisti della squadra che indaga su un possibile attentato terroristico in Brick for stone (Sellerio, pagine 346, euro 16), decimo romanzo dello storico Alessandro Barbero, autore di una cinquantina di saggi.

È bastata una scritta sovversiva su un vagone della metropolitana a insospettire Harvey, a fargli percepire il peso di una minaccia catastrofica.

Vuole prevenirla con un'inchiesta e coinvolge un gruppo eterogeneo e bislacco che rasenta la farsa e comprende: l'americano campione di scacchi Bobby Fischer, l'esperto ingegnere Kozlov, immigrato russo gran bevitore, e il geniale prof. Koselleck.

Prof. Barbero, che cos'è veramente questo romanzo: un thriller anomalo, un giallo insolito?
«Il protagonista è un agente della Cia e quindi c'è qualcosa della spy story. Non volevo scrivere un thriller, ma il fatto che la trama contenga dei colpi di scena e delle piste sbagliate e che i nostri matti al servizio di Harvey trovino una pista che sembra indirizzarli effettivamente dove vogliono andare (anche se poi questa pista li porta da tutt'altra parte) mantengono il ritmo del romanzo, che non è un giallo ma una commistione di generi».

È nato un nuovo Barbero sospeso tra realtà e fantasia?
«Non seguo tanto il panorama e le correnti letterarie e confesso che leggo pochissimi romanzi, a parte quelli candidati al Premio Strega perché debbo votare. Faccio un mio percorso e questo mi crea anche un po' di imbarazzo. Capisco che quando un autore amato produce qualcosa di diverso dal solito, il lettore possa rimanerci un po' male».

L'agente Cia un po' emarginato ha qualche modello reale?
«No, anche se tutti i personaggi, ma specialmente Harvey, riflettono qualche mia caratteristiche: condivido le sue insofferenze verso certe tecnologie inutili e la burocrazia, ma anche la voglia di rileggere i fumetti collezionati da bambino. Sono dettagli personali che ho messo nel personaggio, senza però voler rappresentare me stesso».

E Bobby Fischer? E il prof. Koselleck?
«Ho scelto Bobby Fischer perché è un personaggio da romanzo. Ci sono diverse opere letterarie che parlano di lui: è un campione folle, un ebreo furiosamente antisemita, un americano che detesta gli Stati Uniti tanto che si è fatto cacciare dal Paese. Avevo 13 anni quando c'è stato il grande campionato di scacchi fra lui e Boris Spassky, e lo ricordo abbastanza strampalato per fare parte di questo gruppo che ho inventato. Il prof. Koselleck, il linguista, è ricalcato su uno studioso realmente vissuto, l'americano Raymond Aman, morto anni fa: era esperto di parolacce e di insulti in tutte le lingue del mondo e pubblicava una rivista dedicata a queste cose. Io l'avevo conosciuto via lettera ed era un personaggio che mi affascinava molto».

Il romanzo è raccontato anche dalla parte dei terroristi: perché questa scelta?
«Ho messo in scena anche i monologhi di uno dei terroristi (anche se è partito ben presto per la tangente come personaggio). Mi è venuto da pensare a un'assonanza simbolica con l'attentato alle Torri Gemelle, quando mi sono imbattuto in quel passo della Bibbia in cui si parla della Torre di Babele e della sicurezza di sé di quelli che l'avevano costruita».

La descrizione di quell'attentato è curatissima.
«Da poco ho riletto I demoni di Dostoevskij dove ad un certo punto brucia una parte della cittadina in cui è ambientato il racconto, e c'è un personaggio che dice: “Non c'è niente da fare. Anche se sai che sta avvenendo una tragedia, è impossibile non osservare un incendio provando un certo piacere”. Non volevo far provare piacere a nessuno, ma portarlo al centro di quel dramma».

Sono passati più di vent'anni ormai dal crollo delle due Torri, ma resta la paura che un evento simile possa ripetersi.
«La valenza simbolica dell'11 settembre 2001 rimane tutta, ma che il terrorismo islamico sia il grande problema del nostro tempo, come ci fecero credere allora, è meno vero. Ora è la guerra in Ucraina a impensierirci. Di guerre circoscritte in Occidente ce ne sono altre, ma preoccupa il rischio che uno scontro tra due Paesi, per quanto drammatico, possa sconfinare e diventare un confronto tra grandi potenze militari». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA