Anna Maria Ortese e il monaciello di Napoli: fantasmi e altri «corpi celesti»

L'incanto e lo spavento, la meraviglia e l'orrore si coniugano con la rara intensità emotiva della realtà del sogno

Monacielli, fantasmi e altri «corpi celesti»
Monacielli, fantasmi e altri «corpi celesti»
di Generoso Picone
Venerdì 12 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 20:00
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«Egli era il più caro, il più bello, il più buono dei monacielli che funestassero e rallegrassero insieme, in quel tempo, le case dei Napoletani». La figura dello spiritello capriccioso e ribelle, insieme demonio dispettoso e angelo vendicatore, dall'aspetto repellente cattivo e nero comunque capace di straordinaria tenerezza umana, ritorna nelle pagine di Il monaciello di Napoli che Anna Maria Ortese gli dedicò nella primavera 1940, ora riproposte assieme a quelle de Il Fantasma (Adelphi, pagine 125, euro 14, a cura di Giuseppe Iannaccone, in libreria da martedì 23), e si appresta a inaugurare la stagione che vedrà cadere il 13 giugno il centodecimo anniversario della nascita dell'autrice di Angelici dolori, Il mare non bagna Napoli, Corpo celeste, Il cardillo addolorato, Alonso e i visionari.

Il monaciello prende il filo della scrittura ortesiana proponendosi in una versione della leggenda che riacquista il suo posto nell'affollata iconografia antropologica della città, collocandosi tra le leggende riviste da Matilde Serao, presenza magica di fortuna o iattura, e le imprese condotte da ladro vendicatore nelle dimore dei signori, fantasma capace di attirare dalla propria malefica parte i vivi, fino alle celebrazioni nei canti di «La Gatta Cenerentola» di Roberto De Simone, al profilo inquietante del personaggio di Carmine Paternoster nella serie di «Gomorra», alle immagini consegnate da Paolo Sorrentino nelle sequenze iniziali di «È stata la mano di Dio»: il monaco bambino che accompagna San Gennaro-Enzo De Caro in codino e smoking nella seduzione prosaica di Patrizia-Luisa Ranieri: «Baciare il rospo porta bene».

Ripubblicare il racconto del monaciello Nicolino nascosto nell'armadio della stanza di zia Carolina nell'appartamento del guantaio Giorgio Di Gasparre a Santa Lucia, titolo già apparso nel 2001, rappresenta così una scelta dal valore non meramente editoriale da parte della casa che ha in catalogo le opere ortesiane: dopo Vera gioia è vestita di dolore, la raccolta delle lettere a Marta Maria Pezzoli peraltro scritte a 25 anni nello stesso 1940, si tratta di un ulteriore tassello nel percorso della sua rilettura, un contributo importante all'interpretazione dei suoi testi, all'identificazione della sua personalità.

Perché insiste sulla memoria di un periodo fondamentale della biografia della Ortese, su quel pugno di anni trascorsi dal 1923 a Tripoli dove il padre Oreste, funzionario prefettizio, aveva trasferito per lavoro la famiglia e la nonna la intratteneva con favole accompagnate da gesti ieratici: «Gorghi di malinconia, che però svanivano presto». L'atmosfera di queste giornate verrà rievocata narrativamente da Adelia Battista in L'Angelo bianco, che Dante & Descartes ha in programma per la tarda primavera: Battista, raffinata e sensibile studiosa della Ortese che ha avuto modo di conoscere e frequentare a Rapallo e a Milano, ha pubblicato Ortese segreta (Minimum fax), ha curato il carteggio con Dario Bellezza, Bellezza addio (Archinto) che valse il Premio Morante nel 2012, e con Anna Maria Ortese. La ragazza che voleva scrivere (Lozzi) ne ha indagato gli ambiti più nascosti. Qui si trova a interrogare la radice di «profonde e irrazionali angosce», anticipa. Lo splendore delle ragioni primitive che «nell'immobilità di sogno».

Dalla nonna, la piccola Margherita del racconto apprende la fiaba del monaciello Nicola. Anna Maria Ortese rivela che per poter recuperare il corpo della sua cara, sepolto in Libia, spera di vincere il concorso letterario a cui partecipa con Il monaciello di Napoli. Il brano venne pubblicato da «Ateneo Veneto» di Elio Zorzi nel marzo-aprile 1940 e Il fantasma da «Nove Maggio» la rivista quindicinale del Guf e dell'ateneo di Napoli dove Antonio Ghirelli, Luigi Compagnone, Gianni Scognamiglio, Mario Stefanile, Giuseppe Patroni Griffi e la stessa Ortese si prepareranno ad animare «Sud» con Renato Prunas e Raffaele La Capria a puntate tra il 1941 e il 1942.

C'è sempre un intenso intreccio tra vita e finzione, realtà e immaginazione nella Ortese. Aveva ragione Luca Clerici quando in Apparizione e visione. Vita e opere di Anna Maria Ortese (Mondadori 2002), segnalava che tra ragionamento e immaginazione c'è l'autobiografismo spersonalizzato: «Questa vocazione a raccontare allusivamente e metaforicamente esperienze vissute in prima persona, ma condivise da chiunque: le illusioni dell'infanzia e della giovinezza, la propensione per il bello naturale e artistico, le aspirazioni all'uguaglianza e alla giustizia».

Il monaciello si svela allora come «un insieme di cuore e di furbizia, d'ignoranza e sagacia, di passione e spensieratezza; uno spirito affettuoso, aperto, ma insofferente di legami fino alla ribellione; un amico sentimentale, stravagante, capace spesso di delicatezze femminee, ma terribile nelle ire, pericoloso e triste nelle improvvise follie». La vita, insomma: che ha sempre la sua verità nascosta dal reale. Il fantasma dell'altro brano, invece, delinea il profilo enigmatico della morte, dal sorriso abbagliante «in fondo agli occhi di tenebra». Si coniugano l'incanto e lo spavento, la meraviglia e l'orrore, la gioia e il dolore con la rara intensità emotiva della realtà del sogno. 

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