Lerro e gli uomini che fanno piangere: «Sadici e narcisisti come Amedeo»

«Ho vissuto il Covid in modo drammatico per via della paura di contagiarmi ma ho sempre continuato a lavorare»

Lucrezia Lerro, autrice di "Gli uomini che fanno piangere"
Lucrezia Lerro, autrice di "Gli uomini che fanno piangere"
di Erminia Pellecchia
Martedì 29 Novembre 2022, 20:20 - Ultimo agg. 20:59
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Ornella Morami è una pittrice affamata d’amore, così come da ragazza lo era del cibo. Seguendo il consiglio del suo psicanalista, decide di prendere lezioni private di francese. Un amico farmacista le consiglia un insegnante preparato e poco costoso. Durante il primo incontro lui le parla del suo amore non corrisposto per Amedeo Finori, sposato e con tre figli, cardiologo e scrittore di successo, assediato dalle sue pazienti, ma, a suo dire, fedele solo alla moglie. In Ornella scatta il desiderio di conquistarlo, ma si troverà invischiata in una relazione malata. È la trama di Gli uomini che fanno piangere (2022, La nave di Teseo, 128 pagine, 18 euro) il dodicesimo romanzo di Lucrezia Lerro, scrittrice e psicologa cilentana (è nata ad Omignano) ma milanesissima dopo anni e anni di vissuto all’ombra della Madonnina.

Lerro, chi sono gli uomini che fanno piangere?
«Quelli che non riescono ad amare le donne come loro vorrebbero.

Amedeo ne è l’esempio: è sottilmente violento, sadico e narcisista, di fondo disprezza le donne ma guai ad ammetterlo. Si crede bello, irresistibile. Ornella gli corre dietro, con il suo “corteggiamento” rinforza la sua vanità. Se è vero che in amore vince chi fugge, lei allora non solo è destinata a soffrire, ma ha anche scarse possibilità di conquistarlo».

Un libro intenso, dal ritmo incalzante. Può essere letto come una sorta di manuale di difesa contro chi ci può straziare il cuore?
«Mi piace pensare che potrebbe esserlo, credo che lo sia in parte, perché Ornella mostra una strada da percorrere, fa vedere ai lettori tutte le buche in cui casca, ma da un certo punto in poi ci dice come si può risalire e come evitare di cascarci. I demoni sono sempre in agguato, pronti a sbucare fuori e a distruggerci la vita se non impariamo a dialogarci. La parte oscura è sempre sul punto di venir fuori, per questo è fondamentale educare i pensieri meno evoluti, però è necessario imparare a riconoscerli e non è facile».

C’è una via di fuga al destino di Ornella, dolente mendicante di affetti?
«È molto doloroso “elemosinare”, prostrarsi per ricevere qualche microscopico gesto affettuoso. È devastante, per chi vive questa sudditanza sentimentale, conviverci. Dico alle donne, oggi e per sempre: non mendicate amore, per favore. La via di fuga c’è, Ornella la troverà imparando a prendersi cura di sé, e sarà bellissimo scardinare un archetipo femminile che vorrebbe le donne sottomesse, sentimentalmente parlando. Purtroppo ci sono ancora oggi donne pronte a ridursi in schiavitù per una carezza. Alcune sono vittime di una diseducazione ai sentimenti, di microcosmi familiari maschilisti che segnano profondamente la propria storia affettiva. Io, per esempio, che sono nata al sud Italia ne so qualcosa di sottocultura machista. Potrei raccontarle la mia prima esperienza d’amore e il contesto feroce del quale sono stata vittima. Il rossetto rosso, le scollature, le gonne corte... Ci vorrebbe una seconda intervista per parlare di tutto questo».

L’arte, visto che la protagonista è pittrice, può essere salvifica?
«La pittura non le basta, non all’inizio della storia, però dopo comprende che dovrà tenersi stretta la tavolozza dei colori; i colori di cui “dipingeva’” Amedeo erano soltanto suoi, dopo li ritroverà più splendenti».

Un libro amaro, ma animato dalla speranza.
«Filo invisibile che percorre la storia. Ornella ha voglia di vivere, riorganizza pagina dopo pagina la sua esistenza, andrà avanti senza arrendersi alle meschinità. In questo le somiglio, anch’io desidero andare fino in fondo alla vita, scoprirla nella sua totalità. Per non soccombere alla caducità. Alla fragilità. Ai miserabili».

Il libro ha preso forma durante il lockdown.
«Ho vissuto quel periodo in modo drammatico per via della paura di contagiarmi. Però, nonostante l’angoscia, ho continuato a lavorare, in fondo ho sempre scritto fin dall’età di 13 anni, non ho mai perso l’abitudine. Sono viva per scrivere».

È un testo un po’ diario e un po’ seduta di psicoanalisi, c’è qualche nota autobiografica?
«L’unica figura reale è il farmacista Davide. Sono attratta dalle farmacie fin da bambina. Quando ho visto a Ro Ferrarese la farmacia di Rina Cavallini e Giuseppe Sgarbi ne sono rimasta ipnotizzata. Poi leggendo il racconto inedito “La farmacia”, del papà del mio editore, Elisabetta Sgarbi, ho capito da dove arrivava la mia attrazione per quei luoghi misteriosi. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e gli voglio molto bene. Un uomo elegantissimo, uno scrittore meraviglioso»

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