Napoli a Parigi, fantasmi al Louvre nel segno di Eduardo

Lo spettacolo ideato da Emmanuel Demarcy-Mota su drammaturgia di Marco Giorgetti

Ernesto Lama uno degli attori dello spettacolo in scena dal 28 giugno
Ernesto Lama uno degli attori dello spettacolo in scena dal 28 giugno
di Titta Fiore
Martedì 27 Giugno 2023, 07:10 - Ultimo agg. 28 Giugno, 08:53
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Saranno i testi di Eduardo e i personaggi delle sue commedie più famose il cuore dello spettacolo-evento «I fantasmi di Napoli» che il Louvre, in una partnership senza precedenti con il Théâtre de la Ville e il Teatro della Toscana, ospita da domani al 3 luglio nell'ambito della grande mostra «Napoli a Parigi» realizzata con il museo di Capodimonte e i suoi capolavori e inaugurata nei giorni scorsi dai presidenti Mattarella e Macron.

Ideato da Emmanuel Demarcy-Mota su drammaturgia di Marco Giorgetti, lo spettacolo è un «progetto polifonico» che va alla ricerca «dello spirito di Napoli» e del suo immaginario nelle parole di De Filippo tra musica, canzoni e citazioni di Pirandello, Shakespeare e Pessoa, autori che gli sono per molti versi affini. «Il legame tra Eduardo e La Pergola viene da lontano ed è molto forte» dice Giorgetti, direttore generale del Teatro della Toscana. «A Firenze c'era la sua scuola di drammaturgia e negli anni lo abbiamo celebrato con un'importante mostra curata da suo figlio Luca con Maurizio Scaparro.

Eduardo è un punto di riferimento anche nella programmazione del Teatro nazionale, è un gigante come Shakespeare e Molière, un autore immenso di cui non si può fare a meno». Come si articola la drammaturgia dello spettacolo? «È un intreccio tra opere diverse collegate a senso e a controsenso, un collage armonioso e composito sui temi dell'identità, del tempo, dell'illusione, sul dialogo misterioso tra vivi e morti, sull'eternità dei personaggi in confronto alla caducità di noi spettatori».

Eduardo è l'architrave, con estratti da «La grande magia», «L'arte della commedia», «Questi fantasmi!», «Filumena Marturano», «Le voci di dentro», «Napoli milionaria!», «Sabato, domenica e lunedì». Ma Giorgetti e Demarcy-Mota, che ha già messo in scena al Théâtre de la Ville che dirige «La grande magia» e ospitato «Tavola tavolo chiodo chiodo» di Lino Musella, hanno attinto anche alle poesie di De Filippo e alla sua traduzione in napoletano della «Tempesta» di Shakespeare. Accompagnandole, omaggio nell'omaggio, con la grande musica partenopea, dalla «Serenata di Pulcinella» di Cimarosa a «Reginella» di Bovio, «Malafemmena» di Totò e «Napule è» di Pino Daniele. Gli spettatori entreranno nella Grande Galerie e avranno il privilegio di ammirare in solitudine i capolavori della mostra in dialogo con Capodimonte affiancati dagli attori in una «passeggiata poetica», poi passeranno nella Cour Lefuel, per l'occasione aperta al pubblico, per l'allestimento vero e proprio. Nel cast assai nutrito che reciterà in francese, italiano e napoletano, anche Lina Sastri, Mariangela D'Abbraccio e Ernesto Lama, veterani del repertorio eduardiano, e Francesco Cordella nei panni di Pulcinella, artistico trait-d'union tra le varie anime del percorso. 

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L'idea portante della serata, spiegano gli autori, è quella «di tuffarsi nella ricchezza di una capitale cosmopolita, nelle sue tradizioni e nella sua profonda teatralità ma anche nella sua realtà di città moderna che De Filippo ha criticato e difeso. Una Napoli fiera e lontana dai cliché, la cui cultura irriga il mondo dopo la guerra» aperta alla polifonia dei linguaggi dell'arte. Perché la scelta di raccontarla attraverso la metafora dei fantasmi, Giorgetti? «Innanzitutto perché “Questi fantasmi” è un'opera chiave nella drammaturgia di Eduardo, e poi perché i fantasmi sono l'altro da noi, l'imponderabile con cui ci dobbiamo confrontare. Nel famoso monologo del caffé Eduardo parla con un dirimpettaio, il professore, che non c'è. Un fantasma, appunto. Allo stesso tempo, è un fantasma chi guarda senza capire e assiste alla propria vita senza la consapevolezza di viverla».

Nello spettacolo c'è anche posto per il «testamento» che Eduardo pronunciò a Taormina nell'ultima uscita pubblica. «La sua ultima grande lezione» commenta Giorgetti: «Parlò del gelo che avvolge il teatro e del suo cuore che avrebbe continuato a battere anche dopo essersi fermato, perché nell'arte c'è l'immortalità. È come se ci avesse detto in quel discorso: attenzione, solo il teatro salva, a patto che gli si dedichi la vita». 

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