Il Tesoro di San Gennaro? A Cassino senza le reliquie

L'inaugurazione di una piccola mostra con immagini dell'epoca

Il Tesoro di San Gennaro? A Cassino senza le reliquie
Il Tesoro di San Gennaro? A Cassino senza le reliquie
di Ugo Cundari
Venerdì 17 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:21
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Le bombe non davano tregua, infuriava la guerra. Quando e se i napoletani la mattina si svegliavano come primo pensiero avevano quello di non morire. Un ristretto gruppo di cittadini, tra cui il sovrintendente Bruno Molajoli e il principe Stefano Colonna di Paliano, vicepresidente della deputazione della cappella del tesoro di San Gennaro, prima di salvarsi la pelle pensarono a proteggere il santo protettore della città. Tra il 1942 e il 1943 iniziò una fitta corrispondenza per decidere il da farsi. Le lettere, insieme ai verbali delle assemblee della deputazione e ai documenti d'archivio, materiale in parte inedito, sono state studiate da Laura Giusti, curatrice scientifica del museo del tesoro di San Gennaro dove domani, alle 10.30, presenterà le sue scoperte in occasione dell'inaugurazione di una piccola mostra con immagini dell'epoca che raccontano la vicenda, rocambolesca e incredibile.

Quando a Napoli si diffuse la voce che il sangue, e non solo, poteva lasciare la città, privandola della sua protezione più alta, il popolo si inferocì.

Il sangue serviva qui, nel cuore ancora vivo di una città martoriata, ferita ma non morta. Il sovrintendente non si espose. Il principe era combattuto. Mettere in salvo tesoro e reliquie o lasciare ai napoletani la speranza? Dopo una notte insonne, all'alba il principe decise cosa fare, forse Faccia Gialla gli era apparso in sogno per dargli indicazioni.

Una parte del tesoro, la più facile da trasportare, avrebbe lasciato il duomo. Le reliquie no, andavano difese sul posto. In quest'ultimo caso, per la protezione del sangue, del cranio e delle ossa, l'incarico fu affidato alla ditta, allora la più famosa, Stanzieri, che in pochi giorni costruì una cassaforte con lamine d'acciaio dello spessore di cinque millimetri rinforzata agli angoli con fasce dello stesso spessore. Le reliquie vi furono collocate dentro e, per aumentare la capacità di protezione e di attutimento da eventuali esplosioni, furono ricoperte di segatura di sughero.

A onor di cronaca, due bombe esplosero a pochi metri dal duomo, di preciso nel cortile dietro la parete dove è stata fissata la cassaforte. Gli edifici del cortile crollarono, il duomo non subì che qualche lieve scalfittura. Nessun danno per la cassaforte e il suo contenuto. Il sovrintendente nascose in un luogo a tutt'oggi ignoto l'unico dipinto trasportabile, il «San Gennaro» di Francesco Solimena, e questa è una delle scoperte di Giusti. A lasciare in gran segreto il duomo furono dieci oggetti, «i più preziosi» secondo il principe, diretti all'abbazia di Montecassino, ritenuta indenne dai bombardamenti, cosa che la storia poi smentì.

 

Così nel maggio del 1943, poco più di ottanta anni fa, nella macchina del principe furono caricate tre casse di legno con sigilli di piombo e legature di ferro. Dentro c'erano quattro calici, tra cui quello donato dalla famiglia di Sangro nel 1756, e poi la mitra gemmata di Matteo Treglia del 1713, la pisside gemmata donata nel 1831 da Ferdinando II di Borbone, l'ostensorio del 1837 di Maria Teresa d'Austria e, pezzi più pregiati, la croce di brillanti e smeraldi, regalo personale di Margherita e Umberto di Savoia nel 1878 e il collare solenne di san Gennaro realizzato nel 1679 al quale sono stati continuamente aggiunti gioielli fino al 1929. Poche settimane prima del tragico bombardamento dell'abbazia di Montecassino il tesoro fu trasferito quindi a Roma, prima nel convento di sant'Anselmo, poi a San Paolo fuori le mura e finalmente in Vaticano. 

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Finita la guerra bisognò occuparsi di riportare il tesoro a Napoli, operazione non semplice, quasi miracolosa. Il principe Colonna si rivolse al sindaco Giuseppe Buonocore che gli segnalò un suo fidato elettore, noto come «il re di Poggioreale», pronto a mettere a disposizione la sua auto per il trasporto da Roma a Napoli. E qui si apre un altro capitolo dell'avventura del tesoro. Il re di Poggioreale altri non era che Peppino Navarra, personaggio diventato ricco durante la guerra con il contrabbando e la rivendita di infissi e porte delle case crollate, e immortalato nel film del 1961, intitolato come il suo soprannome e sceneggiato tra gli altri da John Fante. Grazie a Navarra e alla sua macchina, oggi in esposizione fuori al duomo, il tesoro tornò a Napoli il 5 marzo del 1947, con le casse perfettamente integre e sigillate. San Gennaro aveva difeso la città, intanto liberatasi da sola dalla teppaglia nazifascista, e i napoletani il suo tesoro e le sue reliquie. 

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