Energia, altro che green: sul trono torna Re petrolio. A 100 dollari al barile

Report dell’Agenzia internazionale dell’Energia: la produzione del greggio è aumentata al tasso record del 5,4% nel 2022

Energia, altro che green: sul trono torna Re petrolio. A 100 dollari al barile
di Gianni Bessi
Mercoledì 4 Ottobre 2023, 16:36 - Ultimo agg. 13 Ottobre, 10:48
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Il petrolio torna sul suo trono. Sembrava spodestato dalla rivoluzione green, dalle ambizioni del solare e dell’eolico, ma il vento gonfia di nuovo le sue vele con un prezzo che si avvicina ormai ai cento dollari al barile.

Che sta succedendo? Recentemente l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha “sentenziato” che la domanda di idrocarburi raggiungerà il suo picco nel 2030 per poi iniziare a diminuire. E Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie, ha scelto la tribuna del prestigioso Financial Times per pronosticare tale svolta epocale, sulla base delle nuove proiezioni. Ma la storia delle previsioni sulla fine dell’era degli idrocarburi è ricca di smentite, sia che si tratti del vecchio e sporco carbone, in realtà mai abbandonato, sia del petrolio, vero re incontrastato dei trasporti globali, e senza dimenticare il più “giovane” gas naturale con la sua molecola blu oggi ancora più preziosa a causa della crisi innestata dalla guerra Russia-Ucraina.

LE DIFFICOLTÀ

I dati petroliferi presentano qualche problema di attendibilità, vista anche la loro sensibilità strategica. E senza “numeri reali” fare previsioni di lungo periodo è complesso. Poi in genere le profezie vanno in un’unica direzione, concordando sulla fine delle fonti fossili, ma non intervengono con lo stesso vigore per le smentite, quando cioè i consuntivi rivelano che i calcoli sulla fine erano errati. Ma soprattutto Fatih Birol non spiega con dati attendibili quale sia il ritmo di ritirata del re petrolio e dei suoi pari. Sicuramente, e in questo ha ragione il direttore Aie, bisogna insistere con politiche innovative verso una società decarbonizzata. E intanto la contemporaneità ci presenta il conto. Ed è proprio un altro report di Aie a farci annotare che nel 2022, la produzione globale di petrolio greggio è aumentata a un tasso record del 5,4%, molto al di sopra della crescita del 2021 (+1,6%) e della media del periodo 2010-2019 (+1,3%/anno), in un contesto di crescita economica globale e di progressiva crescita del greggio estratto dai produttori Opec+. Anzi, la domanda globale di petrolio è destinata ad espandersi di 2,2 milioni di barili al giorno fino a 102,2 mb/g nel 2023, con la Cina che trascinerà oltre il 70% della crescita. Solo nel 2024 la crescita rallenterà raggiungendo, assestandosi a un più 1 mb/g. E i conti con un mercato così globale, flessibile ed imperfetto non sono finiti: sempre Aie rileva che il prezzo spot del Brent in agosto era cresciuto da giugno fino a raggiungere una media di 86 dollari al barile (https://www.eia.gov/outlooks/steo/report/global_oil.php) mentre nel quarto trimestre dovrebbe assestarsi su una media di 93 dollari al barile. E la politica dei tagli alla produzione dei b/g dell’Opec+ sembra stata decisa per puntare a raggiungere quota 100 dollari. Ovviamente non mancano le incertezze sul comportamento di alcuni protagonisti del “mercato”, a cominciare dalla Cina e lo “stato di salute” della sua economia – che ha conseguenze sulla sua sete di petrolio – per andare alla propensione dell’Iran ad aumentare la produzione – e le esportazioni – per sostenere le casse del regime, alla scelta da parte dei produttori fuori Opec di intensificare la produzione per coprire la domanda. E la relativa influenza che il barile marginale avrà sul prezzo di mercato.

GLI EFFETTI

Il prezzo alto spinge nuovi investimenti su esplorazioni/produzioni globali per cercare nuova capacità produttiva: dall’Africa continentale al mar Caspio fino ai deserti cinesi; dal Sudamerica fino ai poli. Recentissime la decisione del Presidente Lula di spingere il gigante carioca nel gruppo dei grandi produttori, anche sacrificando l’Amazzonia. Tali operazioni, che richiedono comunque alcuni anni, fanno aumentare le riserve e la “spare capacity”, la madre di tutti i riferimenti dei cicli del mercato globale del re petrolio. La spinta rialzista reggerà o alle porte c’è uno stallo o addirittura possibili evoluzioni ribassiste? Forse oggi è semplicemente preponderante una dinamica finanziaria che non riguarda solo i “paper barrels”, ovvero il peso dei fenomeni speculativi nelle transazioni del mercato finanziario. Mohammed bin Salman, primo in linea di successione della famiglia reale Al Saùd, ha bisogno di prezzi alti per finanziare il suo vision2030, il programma strategico promosso dal regno dell’Arabia Saudita proprio per ridurre la dipendenza del petrolio e diversificare l’economia, che prevede progetti faraonici e futuristici come la smart city lineare The Line (c’è un video molto istruttivo su Discovery Uk). E proprio l’aumento di domanda petrolifera mondiale aiuta la sua capacità di utilizzare per il proprio tornaconto il “rubinetto” della produzione. Inoltre, il quadro si completa con il tema della capacità di raffinazione, con i limiti del sistema e dell’approvvigionamento dei prodotti finiti, in particolare in Europa. Dall’altra parte una politica rialzista rischia di portare danni maggiori all’economia cinese e spingere ancora di più la temutissima inflazione. E questo è il terzo “costo”. Il più pericoloso. Dopo la vampata dell’inflazione da “prezzo del gas”, quindi, siamo sulla scia di una possibile inflazione da prezzo da benzina? Inflazione significa erosione dei redditi fissi ma anche il suo impatto sui conti pubblici. Resta che il meccanismo del prezzo alto del re permette agli Stati (quelli europei in primis) di aumentare gli introiti grazie alle alte tasse sui prodotti petroliferi (l’Italia incassa quasi 40 miliardi solo sulla benzina e gasolio da trasporti). E quando il piatto piange...Non serve credere ai complotti ma, nel breve periodo, ognuno cerca di portare a casa qualche cosa. E John Maynard Keynes ci ricordava che nel lungo periodo...

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