Povertà assoluta, è record: Mezzogiorno in affanno, l'inflazione frena la spesa

Le famiglie in povertà assoluta si attestano all'8,5% del totale delle famiglie residenti

Nuovo dossier sulla povertà assoluta
Nuovo dossier sulla povertà assoluta
di Nando Santonastaso
Martedì 26 Marzo 2024, 07:00 - Ultimo agg. 27 Marzo, 06:52
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La ripresa c'è, le performance di alcuni settori sono superiori a quelle del Nord, l'allineamento in termini di Pil alla media nazionale in qualche modo tiene. Ma il Mezzogiorno dei poveri e dei poveri assoluti in particolare non perde colpi, purtroppo. Una sentenza forse anche annunciata quella emessa ieri dai dati Istat, peraltro preliminari (i definitivi si conosceranno a ottobre): pur restando sostanzialmente stabile in Italia rispetto al 2022, la povertà assoluta continua a riguardare soprattutto il Sud. «L'incidenza di povertà assoluta familiare per ripartizione mostra, nel 2023, il valore più elevato nel Mezzogiorno in rapporto alla popolazione residente (10,3%, coinvolgendo 866mila famiglie), seguito dal Nord (8%, un milione di famiglie) e dal Centro (6,8%, 365mila famiglie). L'incidenza individuale conferma il quadro tratteggiato in precedenza, con il Mezzogiorno che mostra i valori più elevati (12,1%), sebbene, rispetto al 2022, il Nord presenti segnali di peggioramento (9% dall'8,5%)». Complessivamente, spiega l'Istat, le famiglie in povertà assoluta si attestano all'8,5% del totale delle famiglie residenti (erano l'8,3% nel 2022). «Si tratta di oltre 2 milioni 234mila famiglie, per un totale di circa 5 milioni 752mila individui in povertà assoluta». 

L'identikit

Ma chi sono le famiglie assolutamente povere? Vengono classificate così le famiglie «con una spesa mensile pari o inferiore a una soglia minima corrispondente all'acquisto di un paniere di beni e servizi considerato essenziale a garantire uno standard di vita minimamente accettabile e a evitare gravi forme di esclusione sociale». La spiegazione non è inutile o pedante se si considera che al Sud, come evidenziato a chiare lettere dall'ultimo Rapporto Svimez, il lavoro cresce di pari passo con la povertà.

Pur aumentando gli occupati, in altre parole, la condizione economica non migliora per effetto di zavorre molto più pesanti che in altre aree come l'inflazione e la debolezza intrinseca del sistema sociale. Non a caso, infatti, i dati di ieri dell'Istat fotografano la povertà assoluta del 2023 in base alla distanza media della spesa per consumi delle famiglie povere dalla soglia di povertà. Quella che per gli statistici si chiama «intensità» della povertà assoluta non è cambiata granché rispetto al 2022, anzi al Sud è leggermente diminuita (dal 19,3% al 17,9%) mentre è in crescita al Nord (18,6%, dal 17,6% di un anno prima). Ma le tendenze del fenomeno restano in tutta la loro gravità, ed è l'aspetto che preoccupa di più. Le famiglie più numerose, ad esempio, continuano a presentare i valori più elevati: quelle con cinque e più componenti si attestano al 20,3% (tornando ai valori del 2021), mentre il valore più basso è quello relativo alle famiglie con due componenti (6,1%). Ma particolarmente preoccupante rimane soprattutto la condizione dei minori che impatta maggiormente sul Mezzogiorno. È vero, come spiega l'Istat, che quelli che fanno parte di famiglie in povertà assoluta sono 1,3 milioni, un numero sostanzialmente stabile rispetto al 2022, ma «l'incidenza di povertà assoluta individuale per i minori è pari al 14%, il valore più alto della serie storica dal 2014». Rispetto al 2022, le incidenze di povertà sono invece stabili tra i giovani di 18-34 anni (11,9%) e tra gli over 65 (6,2%), che restano la fascia di popolazione a minore disagio economico. 

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L'allarme inflazione

Di qui alle conseguenze dell'inflazione il passo è brevissimo al Sud. «La dinamica inflazionistica, decrescente al migliorare delle condizioni economiche, risulta compresa tra il +6,5% delle famiglie meno abbienti e il +5,7% delle più abbienti. Nel 2023, l'andamento dei prezzi ha leggermente indebolito sia la posizione delle famiglie più disagiate sia quella delle più abbienti: in entrambi i casi, si registra una variazione negativa della spesa equivalente in termini reali pari a -2%» scrive l'Istat. La conferma, indiretta, arriva dagli ultimi dati dell'Osservatorio Confimprese-Jakala sui consumi delle regioni a gennaio 2024, dati generali ma utili a capire la tendenza del periodo. Ad eccezione della Puglia, tutte le regioni meridionali registrano dati negativi. La Campania, che si classifica all'8° posto, è a -2,2%. «A nulla sono valsi i saldi invernali che non sono riusciti a rivitalizzare un mercato dei consumi stagnante. Risorse economiche ristrette e destinate all'acquisto dei beni di prima necessità tralasciando il superfluo, la crisi geopolitica internazionale, che influisce sul sentiment negativo dei consumatori e, infine, la stagione mite hanno tolto ossigeno ai consumi in Campania», spiega l'Osservatorio. «L'interpretazione è ulteriormente avvalorata dai valori negativi di tutte le città di provincia, in cui emerge il dato negativo di Avellino a -5,2%, seguita da Caserta a -3,5% e Napoli -1,6%. Si salva solo Salerno che chiude il mese di gennaio con una buona crescita pari a +6,4%». 

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