Giovane pizzaiolo dell'anno, ecco il premio di Lello Esposito: «È Napoli il futuro del mondo»

Lunedì il gran finale alla Mostra d'Oltremare

Lello Esposito
Lello Esposito
di Luciano Pignataro
Sabato 25 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 26 Novembre, 10:21
5 Minuti di Lettura

Lunedì la finale del Contest del Mattino con dieci giovani finalisti che si sfideranno in diretta con due pizze: una tradizionale e una di autore. Il vincitore avrà un dono particolare: una scultura di Lello Esposito. Classe 1957, secondo di quattro fratelli, con le sue opere racconta le viscere di Napoli, ne interpreta il genius loci ed è oggi uno dei più affermati scultori a livello internazionale. 

Video

Lello, a cosa ti sei ispirato con questa scultura?
«A breve Napoli festeggia i suoi primi 2500 anni e sto studiando tanto i miti e l'arte dei greci che la fondarono. Ho voluto rappresentare una Cariatide che regge un disco, che può essere il Sole, adorato in tutta l'antichità greca, una donna che genera luce, vita, ricca di energia e al tempo stesso di pazienza.

Un disco che ricorda la pizza».

Goethe scrive che i napoletani erano, siamo, ossessionati dal cibo. Ne parliamo in continuazione, rappresentiamo i nostri stati d'animo con allegorie fisiche che richiamano al mangiare, alla digestione, eccetera. Leopold von Sacher-Masoch rimase impressionato dalla violenza selvaggia del rituale dell'albero della cuccagna. Perché il cibo è così importante?
«Lo è per tutta l'umanità, ma per noi napoletani è un elemento identitario fondamentale da cui non si può prescindere, soprattutto in un momento storico in cui le multinazionali dell'alimentare aboliscono i profumi e impongono gusti e sapori uguali in ogni angolo del Pianeta. Napoli ha sempre rifiutato l'omologazione, parlava greco quando tutto il mondo usava il latino, è l'unica grande città dell'Occidente i cui tempi non sono dettati dalla borghesia, in cui la borghesia non esercita egemonia culturale e comportamentale».

Gli intellettuali napoletani, a parte rarissime eccezioni, hanno sempre guardato dall'alto in basso il tema del cibo, relegandolo spesso in un privato di cui si parlava poco e comunque con sufficienza. Come mai?
«Secondo me perché il ceto intellettuale napoletano non si è mai soffermato veramente sul tema della universalità di Napoli, l'ha solo proclamata e predicata senza mai analizzarla fino in fondo. Cosa significa essere universale e perché Napoli aspira ancora oggi ad esserlo nonostante ci siano oggi tante città più grandi in tutto il Pianeta? Semplice, perché per secoli è stata una metropoli tra le più grandi al Mondo, seconda in Europa solo a Parigi, prima in Italia fino all'inizio del 900. L'unica vera città che doveva essere visitata, come oggi si va a Shangai o a New York, e questo passato conta ancora adesso moltissimo, anche perché, proprio per il fatto che non è omologata, è un enorme centro urbano protocapitalista in cui si intrecciano valori diversi. Stare a Napoli è un viaggio antropologico unico al mondo, significa stare con Ulisse e con Polifemo allo stesso tempo».

Il cibo napoletano come valore universale, allora. Non più folklore, o non più solo folklore.
«Non lo dico io, non è affatto un caso che gli unici due riconoscimenti immateriali sul cibo approvati dall'Unesco ci riguardano da vicino: l'arte del pizzaiolo napoletano e la Dieta Mediterranea, l'unica che non vieta nulla. E quello che sta succedendo in questi anni è incredibile, il menu della cucina italiana è quasi tutto scritto da noi, ciò che rappresenta l'Italia all'estero è nato qui. Dalla pasta al caffè, dalla mozzarella alla pizza, la nostra tradizione gastronomica è una delle più potenti».

Vero, anche se c'è la necessita di riequilibrare la narrazione fra Sud e Nord. Per cui l'Artusi che ha scritto un ricettario sostanzialmente tosco-emiliano è ritenuto uno scrittore italiano mentre Vincenzo Corrado e Ippolito Cavalcanti che hanno codificato l'unica cultura gastronomica cittadina, sono considerati locali. Basti pensare ai vermicelli al pomodoro che appaiono per la prima volta proprio nell'pera del Duca di Buonvicino. Ma torniamo all'Universalità.
«Noi siamo fortunati ad essere nati a Napoli e nel Sud, ciascuno di noi ha nella memoria alcuni odori e li può rapportare ai rituali familiari, pensiamo al pomodoro della domenica, alle paste della settimana, alla pizza nei vicoli. Io nella mia carriera ho vissuto 50 anni in questi vicoli dove sono nato, ma il mio pulcinella, la mia narrazione del cibo nell'arte, non è mai stata folklore perché ha esercitato i cinque sensi a rimanere attivi. Questo è il valore universale della tradizione gastronomica napoletana. E questo è il motivo per cui Napoli è l'unica salvezza possibile per l'Italia, per una umanità che perde i propri pezzi di memoria e di biodiversità materiale e antropologica».

Non a caso è l'unica grande città che ancora osserva un calendario per alcune preparazioni.
«Sì, è un segnale al tempo stesso religioso e familiare di consuetudini a cui volentieri ci pieghiamo non solo per esercizio della memoria, ma per il senso di comunità che esprimiamo forte come ha notato Trudie Styler nel suo documentario su Napoli e che ho l'impressione tutti gli altri ci invidiano. Ma sai cosa è davvero bello di questa cosa?».

La pizza?
«Il fatto che il nostro senso di comunità è inclusivo non esclusivo. Non siamo arroccati, ma aperti e proprio per questo siamo vivi. Non importa il colore della pelle o la religione o il ceto sociale, alla fine tutti sono napoletani, siamo una città aperta, che guarda il mare ogni giorno e non chiusa dalle montagne. Siamo facili da conquistare perché abbiamo sempre conquistato i vincitori. Con il cibo, in primo luogo!». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA