Incidente bus a Capri: «L'autista aveva assunto cocaina»

Tre imputati a processo: Emanuele promosso autista senza visite mediche

Emanuele Melillo
Emanuele Melillo
di Dario Sautto
Martedì 24 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 25 Ottobre, 07:25
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«Mancavano le barriere di protezione lungo la strada e l'azienda non ha mai sottoposto a visite mediche periodiche i propri dipendenti. Emanuele Melillo non doveva essere alla guida di quell'autobus». Con queste motivazioni, la Procura di Napoli (sostituti Maurizio De Marco e Giuseppe Tittaferrante) ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di tre persone per l'incidente dell'autobus di linea precipitato sulla spiaggia di Marina Grande a Capri, nel quale perse la vita il conducente Emanuele Melillo e rimasero feriti 23 passeggeri, di cui una in maniera grave. Dovranno difendersi dalle accuse a vario titolo di omicidio colposo, disastro colposo e lesioni colpose i tre imputati, finiti a processo ieri su decisione del gup Gabriella Logozzo. Si tratta di Alberto Villa, legale rappresentante dell'Azienda Trasporti Campania, il medico Alessandra Improta a cui la società aveva delegato la sorveglianza sanitaria dei lavoratori, e Giancarlo Sarno, dirigente del settore strade della Città Metropolitana di Napoli. Accanto a loro sono stati citati come responsabili civili sia Città Metropolitana che Atc, anche se non si sono costituiti con un legale, mentre dopo due complesse udienze di questioni tecniche è stata esclusa dal processo penale la compagnia assicurativa Lloyd's che potrà eventualmente rispondere solo in sede civile al posto dell'Ente che ha sostituito la Provincia di Napoli. 

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Diverse le questioni emerse nel corso della complessa udienza preliminare di ieri, che ha visto le discussioni di tutte le parti.

A cominciare dal pm, che ha spiegato come lungo l'ex strada provinciale 66 caprese, che va da Marina Grande verso Anacapri, mancassero «le barriere di protezione, nonostante la strada sia stretta, a doppio senso di circolazione e in estate sia affollatissima di turisti a piedi. Eppure erano stati stanziati i fondi per gli interventi di manutenzione». Inoltre, secondo l'accusa «c'era una segnalazione che riguardava quella strada e la presenza del guardrail avrebbe evitato la fuoriuscita dell'autobus dalla sede stradale». Altro nodo per l'accusa riguarda la mancata sorveglianza sanitaria di tutti i dipendenti dell'Atc e dello stesso Emanuele Melillo, inizialmente assunto come bigliettaio e poi promosso autista «senza essere mai visitato». Invece, dall'autopsia è emerso che Melillo aveva sofferto di crisi epilettiche, aveva una disabilità fisica e, soprattutto, la sera prima di quel tragico 22 luglio di due anni avrebbe «assunto cocaina». «Se lo avessero visitato prima di spostarlo dalla biglietteria alla guida degli autobus, Melillo non sarebbe stato su quel mezzo» secondo l'accusa. L'autobus è quanto si vede nel video della tragedia si adagiò alla ringhiera della strada, sfondandola e precipitando direttamente sulla strada. Il mezzo non superava i 35 chilometri orari di velocità. Per quanto riguarda il mezzo di trasporto, la perizia ha evidenziato che era perfettamente funzionante e che, dunque, l'incidente poteva essere stato causato soltanto da un malore dell'autista. «Una probabile crisi epilettica collegata all'uso degli stupefacenti» è stata la conclusione del medico legale. Una tesi contrastata dai difensori dei tre imputati gli avvocati Alfonso Furgiuele, Roberto Guida e Ciro Arino che, in discussione, hanno anticipato quelli che saranno i temi difensivi nel processo, che partirà il prossimo 28 dicembre dinanzi al giudice Carlo Bardari. Secondo il collegio difensivo andavano individuati altri possibili responsabili tra funzionari metropolitani e medici che avevano incarichi con Atc, analizzando la documentazione acquisita nel corso delle indagini. E ancora, che le visite mediche per la sorveglianza sanitaria erano slittate a causa dell'emergenza covid, ma comunque avrebbe superato quello step e «avrebbe avuto l'idoneità». Intanto, la famiglia Melillo si è costituita parte civile con l'avvocato Giovanna Cacciapuoti (la compagna Valentina con l'avvocato Ugo Scognamiglio). Il papà, presente in aula, attraverso l'avvocato Cacciapuoti ha detto: «Una volta incardinato il dibattimento, ci aspettiamo che nel giro di poco tempo si arrivi all'accertamento della verità con una sentenza». 

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