Napoli, baritono del San Carlo e spazzino volontario: «Così aiuto la mia città»

Ogni mattina Sergio Valentino ripulisce le mura greche di piazza Bellini dai rifiuti

Sergio Valentino
Sergio Valentino
di Fabrizia Ruggiero
Domenica 21 Gennaio 2024, 23:30 - Ultimo agg. 22 Gennaio, 16:03
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Piazza Bellini si sta appena risvegliando quando lui, armato di scopa e paletta, si cala nello scavo delle Mura greche di tufo, testimonianza dell’antica struttura della polis, l’estrema difesa che rendeva la città inespugnabile. Dalle 7 del mattino, e per un’ora circa, non alza lo sguardo da quel rettangolo di circa 12 metri per 13, intento a raccogliere decine e decine di resti che poco hanno a che vedere con l’archeologia. Bottiglie di birra, vino, involucri di snack, bottiglie e bicchieri di plastica, reperti alcolici delle serate di cui è saturo lo scavo insieme ad erbacce e muschi.

«Per mesi sono venuto qui tutti i giorni - racconta Sergio Valentino, 58 anni da compiere tra qualche settimana - Mi alzavo alle 6 per poter accedere indisturbato alle mura, temendo di poter essere fermato da qualcuno.

A quell’ora potevo ripulire quello scempio in tutta tranquillità. Ho raccolto centinaia di bottiglie, migliaia di bicchieri e immondizia di ogni genere, ma ad ogni alba era come ricominciare daccapo».

Occhiali piccoli e tondi alla Cavour, barba e baffi color cenere, Sergio racconta delle sue imprese come fossero cose di normale amministrazione. Come se non potesse far altro che quello, curare la sua città. La bellezza, del resto, è parte del suo dna. Per lavoro, quello vero, fa il cantante lirico al Teatro San Carlo, baritono per essere precisi. In questi giorni sta preparando i Vespri Siciliani di Verdi. La sua casa era prima il Conservatorio di San Pietro a Majella e poi è diventata il San Carlo, dove si è esibito con grandi musicisti e artisti. Da Pavarotti, a Massimo Ranieri, solista in opere con Ozpetek, registrazioni in studio con Edoardo Bennato. Prima di lui il padre, cantante lirico e ultimo maestro di cappella, sopravvissuto alla guerra, ai bombardamenti e alla povertà, circondandosi di arte e musica. 

 

Sergio attraversava la città con una bicicletta e il suo gatto Rossini sulla spalla o nello zaino. Da Castel dell’Ovo ritornava nel centro storico. Fa la guida a chi glielo chiede: turisti, amici, ospiti del San Carlo. Sempre gratis.

«Ma certo gratis - sorride con semplicità - Qui ogni passo che fai c’è una storia da raccontare, e invece la gente va all’estero per scoprire tesori che noi teniamo come discariche a cielo aperto. Anni fa sono entrato a far parte di un’associazione nel complesso dei Vincenziani, nel Borgo dei Vergini, dove siamo riusciti a riaprire una cappella piena di reliquie che con fatica e tempo abbiamo sistemato. Tra queste un’ampolla con il sangue di San Gennaro… E non sappiamo ancora tutto quello che c’è sotto… ma a quanto pare non interessa a nessuno». 

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A Sergio invece, gliene torna di soddisfazione, come dice lui stesso. Anche quando, durante la pandemia distribuiva il cibo a Montesanto, o quando si è guadagnato sul campo il titolo di guardia zoofila, o ancora nel ruolo di volontario alla Gaiola. «Lì ci occupiamo soprattutto del controllo delle imbarcazioni - spiega seduto al bar di piazza Bellini proprio di fronte alle mura - della pesca subacquea illegale. Anche lì sotto al mare ci sono reperti… in questo caso fucili abbandonati tra gli scogli».

I racconti di Sergio sembrano appartenere a una raccolta di storie fantastiche, eppure sono realtà. La realtà di un cantante lirico prestato all’impegno civile, alla cura di patrimoni violati nella loro bellezza, che intona melodie coraggiose e solitarie che restano inascoltate. «Non abbandono queste mura. In primavera riprendo la mia opera. Io sopravvivo per fede, vivo per amore e insisto per passione». E chissà che qualcuno non cominci a sentire la sua grave voce di baritono.

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