Bruno Siciliano, prof supertifoso: «Per il Napoli ho detto no agli Usa»

Luminare della robotica e docente alla Federico II, non perde una trasferta: «Concilio il mio lavoro con il calendario»

Il professore Bruno Siciliano
Il professore Bruno Siciliano
di Gennaro Di Biase
Martedì 16 Maggio 2023, 23:54 - Ultimo agg. 18 Maggio, 08:44
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Il fatto è che lo scudetto del Napoli ha unito tutto il popolo, l’alto e il basso, la destra e la sinistra della società: dagli scienziati ai bambini, da Paolo Sorrentino ai ripetenti, dalle suore agli ultras. Tutti d’accordo in una sola anima azzurra. Ecco perché Bruno Siciliano, luminare della Robotica e docente della Federico II, mentre apre la lezione sembra in tutto e per tutto un ragazzo della curva B.

Sciarpa azzurra in fronte, «N» dello stesso colore sulla guancia.

In un video, pubblicato inizialmente su Twitter - una clip che ha fatto il giro dei social e attualmente conta 2,1 milioni di visualizzazioni (quanto un video di Kvara, per intenderci) - Siciliano guida il coro degli studenti al grido di «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi». Segue un’espressione colorita, che però incarna l’aria di riscatto che il terzo tricolore ha irradiato in città. La stessa espressione che il prof-ultrà ha ribadito, assieme ad alcuni colleghi, all’esterno del Brianteo di Monza per l’ultima trasferta. Anche la sera di Bono al San Carlo, Siciliano ha indossato sciarpa azzurra e smoking. 

Prof, come mai ha scelto di iniziare così la lezione? 

«È stata una goliardata. Ricordo che quando ero un giovane ricercatore, nell’87, incontrai il mio prof. Giorgio Franceschetti, docente di Campi elettromagnetici oggi emerito, con una bandana e la “N” in volto. Un uomo elegantissimo, nei modi e nell’abbigliamento. Mi colpì moltissimo vedere il mio mito che festeggiava gli azzurri. Lui non è mai arrivato ai miei livelli, però. Sono un tifoso praticante. Ho visto tutte le trasferte e le partite casalinghe quest’anno. Sono abbonato dal ’66. Ho perso il secondo anno di Maradona al Napoli perché studiavo negli Usa. Mi offrirono di restare lì, ma rinunciai a una cattedra di 50mila dollari annui per tornare: volevo seguire gli azzurri. A inizio ’89 si aprì poi una posizione a Stamford, una delle Università top nella Robotica a livello mondiale. Ero nella terzina finale dei candidati. Mi dissero che però se volevo il posto dovevo restare negli Usa almeno 6 anni. Da un lato l’amore per mia moglie e la mia famiglia. Dall’altro il Napoli. Scelsi di restare. E vincemmo Coppa Uefa e secondo scudetto. Non me ne sono pentito: gli studenti di Stanford oggi studiano dal mio libro di testo sulla Robotica».

Come concilia lavoro e trasferte? 

«Per la mia agenda devo aspettare i calendari della Lega Calcio: quest’anno accademico ho fissato i viaggi all’estero durante la pausa del mondiale». 

Lei non è l’unico prof-tifoso della Federico II, vero?

«L’assessore Cosenza continua ad andare in curva B, poi c’è Guido Clemente di San Luca, importante docente amministrativista. Io però rivendico il primato di presenze allo stadio quest’anno. Il 15 agosto 2022, invece di andare a Ischia in vacanza con gli amici, sono andato a Verona. Dopo quel 2-5 ho avvertito la sensazione, come un istinto da rabdomante, che questo fosse l’anno giusto». 

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Da dove nasce tutto questo amore? 

«Il Napoli è Napoli: è la mia casa, la mia appartenenza. Sono così ordinato sul lavoro che i tedeschi ammirano la mia precisione. Ma se sono come sono lo devo al fatto di essere nato in questa città. Napoli allena alla complessità e ispira alla creatività: contiene in sé i due punti cardine della ricerca. Mi interesso di Robotica, il cui sogno è quello di creare macchine a immagine e somiglianza dell’uomo. Napoli, in questo senso, che è uno spaccato umano così vario e ricco, mi è d’ispirazione nel mio lavoro».
 

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