Tony Colombo e il clan Di Lauro, in Cina il drink 9mm: «Verifiche sul broker di Hong Kong»

La difesa davanti al giudice: «Niente rapporti con la camorra di Secondigliano»

Tony Colombo e Tina Rispoli
Tony Colombo e Tina Rispoli
di Luigi Sabino
Giovedì 19 Ottobre 2023, 23:45 - Ultimo agg. 21 Ottobre, 09:09
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Tra gli adolescenti americani è tra le bevande più conosciute. Sarà per la massiccia campagna pubblicitaria condotta sul web o per la sua forma particolare, una fedele riproduzione di un proiettile, la “9mm”, questo il nome dell’energy drink, negli ultimi anni, ha letteralmente spopolato tra i giovanissimi. Il prodotto, a base di zucchero, caffeina e taurina, e che secondo gli esperti avrebbe l’effetto di ben sei lattine di coca cola, è finito però, suo malgrado, al centro di un’operazione del Ros dei carabinieri in quanto, secondo quanto emerso da indagini avviate nel 2016, sarebbe stato uno dei brand su cui avrebbe investito la cosca Di Lauro di Secondigliano.

Un’operazione, quella condotta dai reparti speciali dell’Arma, che ha portato all’arresto di ben ventisette presunti affiliati al sodalizio tra cui quello che è considerato l’attuale reggente, Vincenzo Di Lauro. Insieme a lui, in manette, anche Antonino Colombo, meglio noto come Tony Colombo, noto cantante neomelodico di origine siciliana e sua moglie Immacolata “Tina” Rispoli, quest’ultima vedova di un altro ras del “sistema”, Gaetano Marino, trucidato sul lungomare di Terracina alcuni anni fa. I tre, si legge nel voluminoso provvedimento, avrebbero avuto in comune diversi interessi economici, tra cui la produzione e la commercializzazione del brand “Corleone”, una linea d’abbigliamento riconducibile proprio a Colombo. Affari sulla cui natura lecita gli investigatori hanno avanzato più di semplici sospetti. Accuse che, però, rispedite con forza al mittente in particolare da Tina Rispoli che, ieri mattina, insieme ai suoi legali, gli avvocati Carmine Foresta e Maria Carmela Fiorita Nardi ha risposto alle domande del giudice. 

Nell’affare delle bevande energetiche, invece, socio di Vincenzo Di Lauro sarebbe stato un vecchio sodale di suo padre Paolo, Vincenzo Menna. Una figura, si legge nel provvedimento, che avrebbe avuto un ruolo centrale nell’economia dell’organizzazione in quanto sarebbe stato un vero e proprio broker, partecipando a diverse operazioni finanziarie, alcune delle quali di chiara natura illecita. Su di lui, per ricostruirne gli affari, si sono concentrate le attenzioni degli investigatori dell’Arma. Il suo nome, infatti, circola nell’ambiente da diversi anni. Sul rapporto fra i due di assoluta rilevanza sono state le dichiarazioni di Salvatore Tamburrino, ex luogotenente della cosca. «Vincenzo stava sempre sino alla scarcerazione con Menna Vincenzo.

Costui è un soggetto che ha sempre fatto parte del clan Di Lauro, si occupava di cd rom contraffatti, molto vicino ad Errico D’Avanzo. Menna Vincenzo è quindi persona che si occupa da tempo di transazioni commerciali illegali se principalmente fa false fatturazioni o frodi sull’Iva. Mi spiego meglio. Menna Vincenzo con il figlio e con un suo socio, che ho visto un paio di volte, si occupa sia di creare società fittizie che intestava a teste di legno, che di fare triangolazioni con l’estero per lucrare sull’Iva mai versata. lo mi sono occupato di trovare prestanomi».

Un giro d’affari da milioni di euro che la cosca, grazie sempre alle capacità imprenditoriali di Menna, la cosca avrebbe esteso in numerosi altri paesi, compresa la Cina. Sempre Tamburrino, infatti, riferisce di un viaggio che il broker, insieme ad altri soggetti, avrebbe fatto ad Hong Kong per acquistare della non meglio specificata merce che, poi, sarebbe stata rivenduta in Italia. Menna, inoltre, avrebbe avuto un ruolo di primo piano anche nel progetto più ambizioso dei Di Lauro, quello di allestire una fabbrica per la lavorazione illecita del tabacco nella periferia nord di Napoli. 

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Un piano ambizioso ma che richiedeva ingenti investimenti. Per questo motivo, spiegano gli investigatori, Vincenzo Di Lauro, a dispetto della sua vocazione imprenditoriale, avrebbe deciso di riprendere la tradizione criminale della cosca autorizzando i suoi sodali anche a infrangere l’antico divieto, imposto dal padre, di non imporre estorsioni nel territorio del clan.

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