Acerra: universitari e soci del figlio del boss, arrestati per racket

Richiesta di 30mila euro a un bar

Inchiesta su un episodio di racket ad Acerra
Inchiesta su un episodio di racket ad Acerra
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 31 Luglio 2023, 22:59 - Ultimo agg. 2 Agosto, 08:11
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LAvevano preso di mira il migliore bar della zona, quello aperto anche di sera - in piena movida strapaesana - quello che assicura le serate a tema, che si rivolge soprattutto agli universitari della zona. Avevano composto e recapitato una lettera minatoria, con una precisa richiesta estorsiva: «Dateci 30mila euro - rivolgendosi a due gestori della zona -, sono soldi che vanno alle famiglie dei carcerati, specie ad agosto, non possono essere lasciate sole». 

Fin qui sembra una storia di ordinaria criminalità organizzata, con l’intervento delle forze dell’ordine, l’arresto del presunto capo e dei due affiliati. Ma la sorpresa è emersa appena sono venute fuori, grazie alle immagini delle telecamere del locale preso di mira, le identità dei tre indagati: a finire in cella è Domenico Tortora, figlio ventenne di un boss locale; gli altri due sono invece ragazzi della buona borghesia vesuviana. Due studenti universitari, entrambi iscritti a prestigiosi atenei cittadini, figli di professionisti in carriera: si chiamano Raffaele Esposito e Vincenzo Flagiello, sono ai domiciliari.

Il fatto è accaduto ad Acerra. Arresti firmati dal gip Teresa Valentino, al termine delle indagini condotte dal pm anticamorra della Procura di Napoli Giuseppe Visone. Riflettori puntati sul presunto esponente di una famiglia nota per vicende criminali, ma anche sui due presunti complici. Sono ragazzi che studiano, che hanno come obiettivo quello della laurea in vista di una carriera professionale ben inserita nel tessuto connettivo metropolitano. Per loro due, parliamo dei compagni di studi, scattano gli arresti domiciliari, perché in sede di interrogatorio hanno sostanzialmente confessato di aver preso parte al tentativo di estorsione, facendo leva sullo spessore criminale del boss. 


Ma proviamo a capire in cosa consiste la strana storia delle presunte matricole del racket. Ad essere preso di mira è il locale Terronir, in via Da Vinci ad Acerra. Viene confezionata una lettera a carico di Antonio Tufano, titolare dell’esercizio commerciale e del suo socio Alessandro Montesarchio, due imprenditori completamente estranei ai circuiti della criminalità, che hanno fatto del lavoro e dell’intraprendenza manageriale il proprio punto di forza. Siamo tra il 23 e il 25 luglio scorsi, quando sotto la saracinesca del locale viene fatta strisciare una lettera, che sarebbe stata composta a sei mani. La prima stesura da parte del figlio del boss, poi le correzioni da parte dei due studenti. Ecco il testo della richiesta estorsiva: «Preparate 30mila euro per il paese e per i paesani che purtroppo sono chiusi dentro le sbarre... un grazie anticipato da tutte le famiglie di detenuti». Sempre nella lettera, alcune istruzioni per l’uso: i soldi andavano messi all’interno di un borsone nero, all’interno di un bidone verde in una traversa senza uscita in via Nobile di Acerra, con tanto di stampa del fotogramma estrapolato da google map.

A questo punto è scattata l’immediata contromossa da parte dei due imprenditori, che hanno deciso di rivolgersi alla polizia. Alle sei in punto, uno dei due titolari del locale va a depositare nel punto indicato un involucro con soldi falsi all’interno, aspettando l’arrivo degli esattori. È Raffaele Esposito ad entrare in azione, uno dei due studenti.

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È stato inquadrato da telecamere nascoste in strada, viene arrestato in flagranza di reato. Una volta in commissariato, confessa e chiama in causa i complici, provando a sminuire la propria condotta. E spiega: «Avevamo preso di mira quel locale perché stava organizzando delle serate piene di clienti, con tanti studenti universitari». Ed è lo stesso 20enne ad ammettere di essere a conoscenza delle parentele criminali del presunto boss del terzetto. Altri riscontri sono poi venuti fuori nel corso delle indagini, dal momento che sono stati rinvenuti il pc con cui è stata composta la bozza della lettera minatoria, ma anche le chat con cui il testo è stato fatto circolare per le correzioni. Inchiesta in corso, ora si lavora sul ruolo di altri possibili complici. 

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