Giuseppe Gaeta direttore dell'Accademia di belle arti di Napoli: «L'arte migliora la città»

«Non esiste città più contemporanea di Napoli: insieme a New York e Città del Messico costituisce uno dei più grandi laboratori sociali del pianeta»

Giuseppe Gaeta direttore dell' Accademia di belle arti di Napoli
Giuseppe Gaeta direttore dell'​Accademia di belle arti di Napoli
di Giovanni Chianelli
Lunedì 24 Luglio 2023, 08:00
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Un ritorno, o qualcosa in più. Per la terza volta sarà Giuseppe Gaeta a dirigere l'Accademia di belle arti di Napoli: due giorni fa è stato eletto dopo due turni di votazioni e ha prevalso con 53 voti contro i 48 ottenuti dall'attuale direttore Renato Lori. Il suo mandato partirà il 1 novembre prossimo e durerà 3 anni. È la terza volta che Gaeta dirige l'Accademia, dopo aver ricoperto il ruolo per due incarichi consecutivi dal 2014 al 2020. Nato nel 1963, si è laureato in Sociologia all'università Federico II, ha insegnato nelle accademie di Milano e di Catania: «Credo che la scelta sia ricaduta su di me per l'esperienza che ho avuto nelle istituzioni nazionali», dice. Dopo aver ricoperto la carica di vicepresidente del Consiglio nazionale dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, è stato a lungo componente di commissioni delle istituzioni Afam appunto, e membro di diversi tavoli tecnici nazionali.

Gaeta, è felice della nomina?
«La mia candidatura è stata espressione di un sentimento collegiale, di un progetto condiviso da diverse anime dell'ente: perciò non lo prendo a cuor leggero ma sarà, di nuovo, un ruolo di grande responsabilità».

Di nuovo, appunto.
«Non è il primo caso di un direttore con una prima tranche di esperienza, nel sistema Afam non c'è mandato secco come nelle università.

Ma stiamo andando in quella direzione e il tema dell'allineamento con gli atenei è la grande sfida che riguarda le accademie: la trasformazione coinvolge il profilo della nostra ricerca, penso alla creazione anche da noi dei dottorati, alla certificazione delle competenze e alla valutazione».

Che Belle Arti saranno quelle che torna a dirigere?
«Un'istituzione che avrà maggiore efficienza nei processi organizzativi, che vedrà una migliore partecipazione degli studenti e darà centralità alla ricerca a partire da quella, chiaramente, artistica; si darà poi spazio alle politiche di finanziamento e sarà un luogo inclusivo, aperto ai soggetti esterni e a un network esteso, ramificato».

Con che spirito si appresta al nuovo incarico?
«Nel mio programma, citando il filosofo francese Jean-Luc Nancy, ho detto che bisogna passare dall'ego sum all'ego cum, è un invito a concepirsi come singolarità plurali. Non è solo uno slogan ma un orizzonte etico dell'agire».

Il suo è ormai un rapporto sentimentale con l'Accademia partenopea.
«Una scelta di vita quella di tornare a Napoli e di insegnare qui. Parliamo di un'Accademia con 4.000 iscritti, in Italia seconda solo a Brera, e con 30 corsi di studio tra primi e secondi cicli; è un centro di attrazione per il Centrosud e per diversi Paesi mediterranei. Un ente che ha bisogno di una intensa relazione con gli altri centri di ricerca e di una dimensione nuova e aperta: penso alla digitalizzazione e ai rapporti con la scena internazionale, senza dimenticare il legame col territorio».

Un territorio dove incendiano la Venere degli stracci.
«È impossibile anche solo pensare di non condannare un atto del genere: la storia di Napoli parla di una città che costruisce, produce innovazione e include. Distruggere significa sempre tentare di cancellare ciò che non comprendiamo o non condividiamo, mentre l'arte è per definizione aperta al dialogo, alla contaminazione».

C'è un'opera d'arte, una struttura di valore storico-artistico, sulla cui valorizzazione vale la pena puntare?
«Sull'Albergo dei poveri su cui l'amministrazione sta profondendo sforzi anche economici; l'accademia è pronta a un coinvolgimento dato che si trova nella stessa area. Poi sul centro direzionale: l'arte contemporanea può dare un grande aiuto alla valorizzazione della zona, da tempo l'accademia partecipa a tavoli tecnici che ne discutono il rilancio».

Come giudica il momento che vive l'arte, e soprattutto l'arte contemporanea, a Napoli?
«Credo che non esista città più contemporanea di Napoli: insieme a New York e Città del Messico costituisce uno dei più grandi laboratori sociali del pianeta. L'arte ha tra gli altri oggi il compito di creare ponti laddove oggi esistono barriere, raccordando realtà diverse a partire da una pratica dell'ascolto e della partecipazione».

Cosa può offrire l'arte all'ondata di turisti in città?
«La crescita di valore dell'immagine della città, che avviene anche ma non solo rispetto all'offerta artistica, richiede una visione di sistema capace di coniugare le diverse anime che da sempre la città esprime. Le istituzioni culturali e formative, in collaborazione con l'amministrazione cittadina, possono fare la loro parte per costruire un modello di armonizzazione che non passi solo attraverso soluzioni burocratiche o tecniche, ma diventi una vera trasformazione culturale della collettività». 

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