Palermo, la ragazza stuprata: «Sono stanca, mi state portando alla morte». La 19enne trasferita in comunità

La 19enne violentata risponde sui social a chi l’accusa di essere stata consenziente

Palermo, l'urlo della vittima: «Così mi portate alla morte». La ragazza stuprata trasferita in comunità
Palermo, l'urlo della vittima: «Così mi portate alla morte». La ragazza stuprata trasferita in comunità
Martedì 29 Agosto 2023, 16:36 - Ultimo agg. 31 Agosto, 09:09
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«Sono stanca, mi state portando alla morte». La 19enne palermitana, violentata a luglio da 7 ragazzi in un cantiere abbandonato sul lungomare del Foro Italico, lancia su Instagram il suo disperato grido di aiuto, che ha il sapore di un tragico avvertimento. Si rivolge a chi, sui social, continua ad attaccarla per i post che aveva pubblicato sul suo profilo Tik Tok, insinuando la solita infamia riservata ad alcune vittime di stupro che “se la sono andata a cercare” per il loro stile di vita “disinvolto”. «Io stessa anche senza questi commenti non ce la faccio più - prosegue la 19enne su Instagram - Non ho voglia di lottare né per me né per gli altri. Non posso aiutare nessuno se sto così. Non serve a nulla continuare, pensavo di farcela ma non è così». E ancora: «se riesco a farla finita porterò tutti quelli che volevano aiutarmi sempre nel mio cuore». Il post della vittima è stato scritto sotto un commento in cui la si incolpa di aver acconsentito al rapporto con il gruppo di stupratori. Ieri sera ha lasciato Palermo per andare in una comunità protetta in cui le verrà anche offerta la possibilità di lavorare.

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IL PRIMO SFOGO

Quattro giorni fa la ragazza aveva pubblicato sui social il suo primo sfogo: «Sinceramente sono stanca di essere educata quindi ve lo dico in francese, mi avete rotto la m...

con cose del tipo: “ah ma fa i video su tik tok con delle canzoni oscene”, “è normale che poi le succede questo”, oppure “ma certo per come si veste”». La 19enne non vuole essere giudicata e giustamente non accetta l’accusa di essersi “meritata” la violenza. «Me ne dovrei fregare - aveva scritto su Instagram - ma se andate a scrivere cose del genere a ragazze a cui succedono cose come me e fanno post come me potrebbero ammazzarsi. Sapete che significa suicidio?». La ragazza, che ha denunciato i sette presunti stupratori, tutti finiti in carcere, ha pubblicato anche uno screenshot tratto dal sito del Garante della Privacy in cui si spiega cosa sia il revenge porn e cosa rischi chi diffonde video o immagini sessualmente esplicite di qualcuno senza il suo consenso. Il riferimento, probabilmente, è al filmato dello stupro, girato dal più grande dei ragazzi che hanno abusato di lei. Le immagini, che hanno consentito ai carabinieri di identificare tutti i presunti responsabili della violenza, sarebbe stato condiviso dall’indagato che, in una conversazione intercettata prima dell’arresto, dice esplicitamente a un amico che eliminerà i file con le immagini dopo averli girati. Non è ancora stato accertato a chi si riferisca il 23enne, né se avesse in mente di guadagnare sulla condivisione del video sul web. Il più piccolo del gruppo, che la notte della violenza era minorenne, è tornato in cella dopo essere stato liberato dal gip che aveva visto nelle ammissioni fatte nel corso dell’interrogatorio una sorta di ravvedimento. Affidato a una comunità, il ragazzo ha preso a postare scritte allusive allo stupro e a vantarsi delle decine di messaggi ricevuti da presunte fan. Inoltre sono state scoperte sue chat inviate il giorno dopo l’aggressione in cui, contrariamente a quanto detto al giudice, il giovane rivela che la vittima non era consenziente durante il rapporto. Sia il messaggio, sia i post hanno convinto il magistrato a riarrestare il ragazzo in quanto non risulta affatto pentito.

IL GARANTE DELLA PRIVACY

Il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria nei confronti dei siti che hanno diffuso le generalità della 19enne. «L’informazione è stata da subito caratterizzata da un eccesso di particolari e da una morbosa attenzione sulla vicenda». Il Garante evidenzia inoltre il rischio che la pubblicazione dei nomi e cognomi dei violentatori finisca per rendere identificabile in via indiretta la ragazza. 
E sul caso è intervenuta anche Loredana Bertè dal palco di Palmi, in provincia di Reggio Calabria: «Io stessa sono stata vittima di un ba...o che mi ha violentato, massacrata di botte e lasciata su una strada a Torino. Ogni sei ore un femminicidio, per non parlare degli abusi come quelli di Palermo. Per questo ho smesso di tacere. Io non sono carne».

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