Il Giappone dice no alla Corea del Sud nel G7: ecco le ragioni dello scontro senza sbocchi tra Tokyo e Seoul

REUTERS / VIA KYODO
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di Erminia Voccia
Giovedì 2 Luglio 2020, 20:30
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Il Giappone si oppone alla proposta degli Stati Uniti di includere la Corea del Sud nel gruppo delle sette maggiori economie del mondo (G7), il segnale più che evidente che le tensioni tra i due Paesi asiatici sono tutt'altro che sopite. Il governo di Tokyo, secondo fonti della diplomazia nipponica, si è detto contrario alla partecipazione di Seoul al prossimo summit del Gruppo, fissato per la fine dell'anno negli Stati Uniti. Di recente, era stato lo stesso presidente statunitense Donald Trump a proporre la partecipazione della Corea del Sud al G7. Trump ha invitato anche Australia, India, Russia a prendere parte al prossimo vertice, espandendo la formula a G11 o G12 con lo scopo di contenere Pechino nella regione dell'Indo Pacifico. Il Canada, invece, si è opposto alla partecipazione della Russia, esclusa dal gruppo dei G8 dopo l'annessione della Crimea del 2014.
 
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Come motivazione il Giappone avrebbe citato le divergenze esistenti tra la diplomazia nipponica e le linee di politica estera della Corea del Sud in merito ai rapporti con la Cina e la Corea del Nord. Tuttavia, alla base l'antagonismo tra i due maggiori alleati di Washington nel Pacifico ci sono le questioni ancora non risolte legate a un pesante passato coloniale, questioni che nascono nel periodo dell'occupazione giapponese della penisola coreana, avvenuta tra il 1910 e il 1945. L'inclusione della Corea del Sud nel gruppo dei G7 comporterebbe, inoltre, per il Giappone la perdita dello status di unica economia asiatica. Yoshihide Suga, il segretario capo di gabinetto giapponese, ha affermato l'importanza di conservare il format attuale, esprimendo così il proprio dissenso alla proposta di Trump. Gli ha risposto questa settimana il presidente sudcoreano Moon Jae-in, spiegando che il Paese ha saputo reagire al consistente taglio delle esportazioni nipponiche trasformando il problema in un vantaggio economico. In questo modo, Moon ha lasciato intendere che non c'è fretta da parte dell'amministrazione di rimuovere le restrizioni al commercio, almeno per il momento.
 


Nel mese di luglio dell'anno scorso il governo giapponese ha imposto delle limitazioni all’esportazione di prodotti ad alta tecnologia e componentistica elettronica verso Seul, scatenando reazioni molto forti da parte della Corea del Sud e causando una guerra commerciale tra i due Paesi asiatici. Tokyo aveva bloccato l’esportazione verso la Corea del Sud di materiali come fotoresist e poliimmidi, di importanza fondamentale per l’industria elettronica sudcoreana. Le tensioni commerciali erano sorte dopo che una serie di tribunali della Corea del Sud avevano imposto ad alcune aziende giapponesi il pagamento delle riparazioni per il lavoro forzato a cui i cittadini coreani furono sottoposti in tempo di guerra durante l’occupazione nipponica della penisola coreana. Lo scorso 19 giugno Seoul è tornata su una vecchia faccenda. La Casa Blu ha chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) di aprire formalmente una camera di risoluzione delle controversie per discutere dei limiti al commercio imposti dal Giappone l'estate scorsa, come reazione alla mancanza di risultati sul fronte dei negoziati con Tokyo. L'Omc dovrebbe decidere entro la fine di questo mese.

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Ancora un'altra questione contribuisce a raffreddare i rapporti tra Giappone e Corea del Sud ma il punto è sempre lo stesso: il Giappone la scorsa settimana ha inaugurato il centro informazioni dei “Siti della rivoluzione industriale giapponese Meiji”. L'esibizione dei siti storici intende celebrare i successi dell'industria nipponica raggiunti in epoca Meiji grazie al lavoro dei cittadini coreani. Tokyo, in base a un accordo del 2015 firmato con Seoul, si è impegnata a riconoscere le vittime sudcoreane del lavoro forzato nei siti considerati patrimonio dell'umanità.
L’esibizione menziona effettivamente il ricorso al lavoro di cittadini coreani, ma non riconosce che era praticato alcun tipo di lavoro forzato. Dal punto di vista di Seul, sarebbe una grave negazione della storia. Per tale ragione la scorsa settimana il governo sudcoreano ha annunciato di chiedere all’Unesco la cancellazione dei siti giapponesi di epoca bellica dalla lista dei patrimoni dell’umanità. Per il Giappone, sono critiche inaccettabili. Nulla, dunque, è cambiato rispetto a un anno fa ed è chiaro che il contenzioso commerciale non sarà mai risolto se prima i due Paesi non porranno fine ai vecchi contrasti, una prospettiva per ora abbastanza lontana.

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