Rapporto Istat, il Sud insegue: più 3,5% ma nel 2023 è in testa

La fotografia scattata dall'Istat nella stima preliminare del Pil 2022 e dell'occupazione territoriale

Rapporto Istat, il Sud insegue: più 3,5% ma nel 2023 è in testa
Rapporto Istat, il Sud insegue: più 3,5% ma nel 2023 è in testa
di Nando Santonastaso
Martedì 4 Luglio 2023, 11:00 - Ultimo agg. 5 Luglio, 09:24
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Il Sud insegue, e verrebbe quasi da chiedersi dov'è la novità. Ma la fotografia scattata dall'Istat nella stima preliminare del Pil 2022 e dell'occupazione territoriale mostra, se non altro, almeno due profili meno scontati. Il primo è che il Mezzogiorno un anno fa è cresciuto del 3,5%, che rimane inferiore al 4,2% del Nord Est e al 4,1% del Centro ma è migliore del 3,1% del Nord Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria). E il secondo è che, pur restando il fanalino di coda per i livelli occupazionali incrementati nel 2022, solo l'1,2% contro il 2,4% del Nord est (e l'1,6% del Nord Ovest, e l'1,9% del Centro), il Sud ha recuperato di più di tutte le macroaree nel primo trimestre 2023. La spinta, cioè, arrivata nella prima parte dell'anno per i nuovi contratti è stata più forte come lo stesso Istituto di Statistica ha monitorato, con turismo ed edilizia a fare da battistrada agli altri settori, compensando la frenata dell'industria manifatturiera, in particolare, come documentato dagli ultimi report di Bankitalia e Confindustria.

Non sono elementi trascurabili (per quanto non tali da indurre a facili ottimismi) perché confermano la ripresa di un certo dinamismo dell'economia meridionale, pur non ancora tale da erodere sul serio il divario.

La stessa Svimez, non a caso, che il 18 luglio prossimo presenterà le abituali anticipazioni del Rapporto 2023, ha rivisto il rischio di recessione del Mezzogiorno che sembrava inevitabile, recuperando il segno più sul Pil. Naturalmente, resta l'impatto di un Paese che non corre ancora alla stessa velocità anche se finalmente le distanze in termini di Prodotto interno lordo tra le varie aree non sono più così abissali. L'Italia cresce più di tutti in Europa e persino più delle stime del governo anche se nell'ultimo trimestre del 2022 si è tornati al segno meno, sia pure di un soffio, a riprova del fatto che con tante variabili in gioco, dalla guerra all'inflazione, è a dir poco difficile stabilizzare certe performances.

Il primato del Nord est, spiega l'Istat, è sicuramente l'elemento di maggiore novità nel senso che nel 2021 era stata la macroarea più in difficoltà, con una crescita al di sotto della media nazionale. Ma pure i dati del Centro fanno notizia anche se dopo quanto accaduto di recente, con le alluvioni che hanno interessato anche Marche e Toscana, i numeri dovranno essere aggiornati in peggio.

L'edilizia, come detto, sembra il vero motore della ripresa nel Paese e soprattutto nel Mezzogiorno. Evidente l'effetto dei bonus fiscali, al punto che la Cna proprio ieri in una nota, ha chiesto esplicitamente che non vengano toccati («Il bonus per la riqualificazione energetica degli immobili ha permesso nel contempo sia un forte calo nelle emissioni di Co2 sia un taglio robusto nei consumi di gas»). Le costruzioni - spiega l'Istat - hanno continuato anche nel 2022 ad essere il settore più dinamico (+10,2% il valore aggiunto nazionale), registrando al Nord il risultato migliore, con una crescita del valore aggiunto del 10,8% nel Nord-Ovest e del 10,7% nel Nord-est. Ma subito dopo viene il Mezzogiorno, con un +10,5% che va sottolineato, considerati le difficoltà degli enti locali ad appaltare opere pubbliche e l'impatto ancora molto parziale dei cantieri previsti dal Pnrr (di fatto, a parte le grandi opere infrastrutturali, il 40% di spesa previsto nelle regioni meridionali si fa fatica a contabilizzarlo). Di sicuro, i rischi di un rallentamento si abbattono su tutte le regioni italiane, con i salari zavorrati dall'inflazione, il costo del denaro in aumento e l'allarme recessione suonato per ora solo in Germania. Non a caso, l'Istat ricorda che la crescita acquisita per il 2023, quella cioè che - in base alla spinta del 2022 - si otterrebbe se tutti i trimestri di quest'anno registrassero una variazione nulla del Pil, è dello 0,4% (mentre la Nadef parla di +0,6%). 

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Che l'Italia sia comunque un Paese non omogeneo sul piano dei fattori economici lo ribadisce proprio ieri uno studio dell'Aidp (l'Associazione dei direttori del personale) che sulla base di sette parametri ha messo in fila i 110 capoluoghi di provincia per qualità del lavoro. Ne sono emerse tre fasce e l'ultima, contrassegnata dal colore rosso, accoglie i centri del Mezzogiorno, Napoli compresa. La classifica, stilata con la collaborazione scientifica di Isfort e la supervisione di Nadio Delai, presidente del comitato scientifico Aidp, ha preso in esame i fondamentali economici; servizi di cittadinanza; cultura e tempo libero; sicurezza; vivibilità ambientale; inclusione, diritti e pari opportunità; futuro e l'innovazione. Opinabili o meno, sono indicatori che fanno riflettere. Magari se si ragionasse in termini di costo degli affitti (Milano nettamente in testa) o della tazzina di caffè (Parma la città più cara), la narrazione dell'Italia a due o tre velocità potrebbe essere più completa. Ma questo non cambierebbe la sostanza delle cose. 

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