Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat: «Calo demografico troppo veloce al Sud, così diventa un deserto»

Il professor Blangiardo: dobbiamo chiederci se una volta abbandonati i modelli tradizionali i maschi non stiano accumulando ritardi

Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat
Gian Carlo Blangiardo, ex presidente Istat
Marco Espositodi Marco Esposito
Sabato 30 Marzo 2024, 23:45 - Ultimo agg. 31 Marzo, 15:35
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Professor Blangiardo, c’è qualcosa che l’ha sorpresa nel rapporto Istat sulla demografia del 2023? 
«La riconquista della crescita zero. Non era scontata - risponde Gian Carlo Blangiardo, demografo di lungo corso e presidente dell’Istat dal 2019 al 2023 - ed è comunque un dato confortante in tempi di declino. Guardiamo con favore a quegli stranieri che prendono la residenza in Italia perché hanno portato un flusso positivo di 274mila persone. E sottolineo anche i 200mila residenti stranieri diventati nel 2023 nuovi cittadini. È un processo che crea le basi dell’Italia del futuro».

L’equilibrio però c’è al Centro e al Nord. Il Mezzogiorno si sta svuotando e ha perso 126mila cittadini fra denatalità e migrazioni interne... 
«Verissimo.

Vaste aree del Sud, certo non Napoli, si stanno desertificando con una velocità che impressiona, in molti luoghi si fa fatica a mantenere aperta una scuola. Del resto in tali aree non arriva la popolazione straniera e parte quella autoctona. E in alcuni paesi non nasce un bambino da anni».

Ecco, in merito alla denatalità, perché nonostante gli sforzi sui bonus si è scesi a 1,2 figli per coppia? 
«Da demografo mi sto convincendo che c’è poco da fare. Sia chiaro, va fatto ogni sforzo per incidere sui costi e per favorire la conciliazione dei tempi di vita ma siamo di fronte a scelte individuali e se manca la fiducia verso il futuro viene meno la spinta a procreare, cade la cultura di quanto sia bello avere figli e nipoti. Si vive come se si fosse quasi immortali». 

Perché nella crisi generale la Sardegna è ultima a 0,9 figli per coppia? Può pesare il divario culturale tra uomini (solo 15 giovani sardi su 100 con laurea) e donne (39 su 100 laureate) che nell’isola è divario più ampio d’Italia? 
«Trovo questa intuizione un’ottima idea da approfondire. È assolutamente possibile che una volta abbandonato il modello tradizionale di rapporto tra i sessi, vi sia un intoppo a costruire un nuovo equilibrio se nel frattempo i maschi restano indietro dal punto di vista culturale. I demografi, faccio anche autocritica, hanno sviluppato analisi troppo schematiche inseguendo la crescente capacità di calcolo, si sono concentrati sui modelli matematici ma hanno perso di fantasia».

A proposito di divari culturali, anche se il saldo demografico finale è zero, l’Italia perde cervelli verso l’estero e attira stranieri in larga parte di modesto livello formativo. Non è premessa di un declino? 
«Certamente. L’ingegnere indiano lo prendono gli altri, per la stessa ragione per cui anche i nostri ingegneri spesso vanno all’estero. La quantità, che è in equilibrio e ciò è un bene, deve diventare anche qualità».

Con borse di studio per studenti stranieri? 
«Da sole non basterebbero: i laureati andrebbero via anche più dei nostri perché non avrebbero neppure il freno dei legami familiari. Le persone si trattengono con salari e servizi migliori. Però in tale vicenda per molti aspetti frustrante vediamo l’aspetto positivo: il nostro sistema formativo è buono altrimenti non ci sarebbe la caccia ai laureati italiani».

A proposito di servizi, torna il tema Sud a partire dall’assurda carenza di asili nido. Lei è nato e vive al Nord. Non trova assurdo che si accetti, da italiani, che vi siano territori privi di servizi minimi essenziali? 
«La vedo così: si condivide che sia importante per il Sud e quindi per l’Italia un’adeguata dotazione di asili nido, per stare all’esempio. Però al Nord si ritiene che i soldi destinati al Mezzogiorno finiscano verso una cattiva spesa. Vorrei esser chiaro: malversazioni sono presenti anche al Nord, ma sui nostri difetti siamo indulgenti mentre c’è questa idea persistente dell’incapacità dei meridionali di tradurre i finanziamenti in risultati».

Tra le analisi del rapporto Istat mi ha colpito quella dell’economista Innocenzo Cipolletta, sul Domani, secondo cui il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione non è per forza un problema. Che ne pensa? 
«Mi ha stupito molto, vista la qualità della persona. Qualche volta si viene presi da mania di protagonismo. Il punto non è il numero totale di persone residenti in Italia, che potrebbe anche essere molto più basso di quello attuale. Il problema è che il ritmo dell’invecchiamento non è sostenibile, così come non sarebbe immaginabile sostenere flussi migratori molto più consistenti di quelli attuali: siamo in crisi per la velocità e per la modalità dei fenomeni in corso, minimizzare non aiuta a trovare soluzioni».

Da un anno l’Istat è in attesa del suo successore. Non le chiedo una previsione, ma per lei che progetti ha? 
«Diventare sindaco, il prossimo 9 giugno. Nel mio Comune, Meina, sul Lago Maggiore, c’è un sindaco che punta al terzo mandato, io lo sfido: sono il nuovo. Meina è un gran bel posto ma non valorizzato a dovere. Tra l’altro c’è una straordinaria biblioteca».

Con che lista corre? 
«Una civica: Insieme per Rinascere».

Beh, per un demografo, è già un programma. Auguri. 
«Grazie».

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