Tornare a Capua per Marco D'Amore è come tornare a casa. Ed è stata questa la prima cosa che ha sottolineato entrando al cinema Teatro Ricciardi dove ad attenderlo c'erano gli applausi di una sala gremita per la proiezione del suo film “Caracas”.
«A questo teatro mi legano ricordi lontani. E mi rivedo diciassettenne quando, con una compagnia di ragazzi e amici, venivamo qui alle tre di notte per montare le scenografie del nostro spettacolo che sarebbe andato in scena il giorno dopo».
Si è raccontato così Marco D'Amore, nella serata evento nata dalla collaborazione tra il cinema Teatro Ricciardi e Capua il Luogo della Lingua, il festival che da diciannove edizioni celebra i linguaggi dell'arte e della cultura della città del Placito Capuano, primo documento scritto in volgare datato 960 d.C..
Il festival, diretto da Giuseppe Bellone, che ha visto protagonista più vote Marco D'amore al quale, nel 2016, ha attribuito il premio Placito Capuano, riconoscimento riservato ai protagonista del mondo dello spettacolo e della cultura che si distinguono per la promozione e diffusione della letteratura e della lettura in Italia.
Ma quale sia stato il motivo che ha ispirato la trasposizione cinematografica del romanzo-diario di Ermanno Rea “Napoli ferrovia”, Marco D'Amore risponde: «Innanzitutto perché Rea racconta una vicenda realmente accaduta, e che mette in scena l'amicizia paradossale tra due uomini che più diversi non potrebbero essere. Lui, il grande scrittore che si autodefinisce la cariatide comunista che ritorna a Napoli da alieno, da straniero nella città in cui è nato; e Caracas, il cui soprannome già racconta un’origine quasi leggendaria, estremista di destra poi convertito all’Islam.
Un fil rouge, quello della letteratura , che dagli esordi teatrali con “Le avventure di Pinocchio”alle pagine di Gomorra" la serie ispirata dal romanzo di Roberto Saviano, arriva a "Caracas". Ma quali parole della letteratura possono avere ancora una fisionomia che ne faccia apprezzare il valore alle nuove generazioni?
«Non lo so quali parole, considerato che oggi siamo in una polemica sui linguaggi che cambiano, si evolvono, anche in virtù degli strumenti attraverso i quali veicolano. Io invece credo molto di più in certi sentimenti, in certe emozioni che riguardano l’Umanità da tempi lontani. E nel momento in cui un autore che scriva letteratura, cinema, musica, riesce ad accenderli, incredibilmente riesce a mettere insieme queste umanità di provenienza diversa, di età diverse ,di estrazioni diverse. Ed è questo secondo me il miracolo che compie chi sa raccontare».
“Caracas” è letteratura che passa al cinema e poi diventa fotografia grazie agli scatti di Marco Guidelli. Che avventura è stata?
«È stata un’altra avventura bella dell’antologia di questo film che ha a che fare con le umanità. Da una parte il mio rapporto di oltre 25 anni con Tony Servillo, e dall'altra il rapporto con Marco Ghidelli che dura dal primo anno di Liceo Scientifico al Diaz di Caserta. Quando ci siamo conosciuti erano due ragazzini che sognavano il cinema, il teatro. Poi, prendendo strade diverse, ci siamo ritrovati: Marco è diventato un professionista incredibile, tanto che con “Caracas” le sue foto sono piaciute talmente tanto a Luciano Stella, uno dei produttori del film e uomo di grandissima cultura, che ha ritenuto non potessero essere relegate al solo ambito della promozione del film. Così è nato il libro fotografico, un reperto unico venduto nelle librerie».
E quando dedicherai uno sguardo alla tua terra, Caserta, fucina di talenti come te, Toni Servillo, Francesco Piccolo, Antonio Pascale, e tanti altri, per raccontarla al meglio?
«Io sono convinto che il posto in cui sono cresciuto, ossia Caserta con la sua Provincia, abbia costantemente a che fare con tutto quello che faccio. Non fosse altro per queste presenze che hai citato e che hanno non animato ma agitato la mia vita di studente. Però la cosa che mi ha emozionato fin da ragazzino della mia terra, è sempre stato quando la sentivo definire Terra di Lavoro. Io ho sempre dedicato alla mia vita al lavoro, ho sempre lavorato, ho sempre avuto un altissimo rispetto di questa parola e di chi mi lavora a fianco, qualunque sia il ruolo che ricopre. È questo l’insegnamento più importante che io raccolgo dal mio territorio e che porto con me ovunque, come attore all'estero o sui set di registi importanti. Un rispetto che parte da me, e significa restituire al pubblico un’esperienza che è fatta di ossessione e di dedizione, ma è soprattutto rivolto al lavoro di chi mi sta intorno».