Matteo Garrone a Napoli: «I miei attori migranti hanno dettato il film»

Tris di appuntamenti per il regista che incontra gli spettatori in sala alle 21 all'America Hall, alle 21.45 al Filangieri e alle 22.45 al Modernissimo

Moustapha Fall, Seydou Sarr e Matteo Garrone
Moustapha Fall, Seydou Sarr e Matteo Garrone
di Alessandra Farro
Martedì 19 Settembre 2023, 11:00
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Una grande avventura, due amici di Dakar (Senegal), e un sogno: fare i cantanti in Europa. «Io capitano» di Matteo Garrone, fresco vincitore a Venezia del Leone d'argento per la miglior regia Venezia e del premio per il miglior attore emergente (il ventunenne snegalese Seydou Sarr), arriva a Napoli insieme al suo regista, che stasera incontra gli spettatori in sala alle 21 all'America Hall, alle 21.45 al Filangieri e alle 22.45 al Modernissimo. Proprio mentre a Lampedusa riscoppia il dramma dei migranti.

«Mia nonna è napoletana, la madre di mio figlio è napoletana e a Napoli ho girato tanto in passato: ci torno sempre volentieri, mi sento a casa», racconta il regista che qui ha girato «Gomorra», «Dogman», ma anche «L'imbalsamatore» e «Reality»: «È è una città pop, sta subendo una crescita del turismo esponenziale, equiparandosi a Roma, ma era inevitabile che accadesse.

Nel mio futuro spero di tornare a girare in città, ne sarei felicissimo. Serve un'idea, una storia, è lei che detta il luogo adatto per raccontarla. Per il momento non ho ancora idee, staremo a vedere se la prossima idea avrà il cuore napoletano». 

La storia in questo caso l'ha portata in Africa e parla di umanità, prima ancora che di politica. Incrociamo i migranti, affrontiamo il loro lungo viaggio dal Dakar per raggiungere l'Italia passando per il deserto del Sahara e la Libia attraverso gli occhi del protagonista Seydou e del cugino Moussa (Mustapha Fall), che, carichi di speranza e innocenza, si scontrano con la crudeltà e la ferocia dell'uomo.
«Al centro di tutti i miei film c'è la condizione umana, l'uomo che compie delle battaglie per cercare di raggiungere i propri desideri e per combattere le ingiustizie. In questo caso, i due sedicenni africani non riescono a capire perché, se loro vogliono soddisfare il loro desiderio di viaggiare, devono mettere a repentaglio la propria vita, mentre i loro coetanei provenienti da altre parti del mondo possono prendere un aereo e raggiungere qualsiasi meta, anche il Senegal, senza problemi. Il 70% della popolazione africana è composta da giovani, molti dei quali vogliono partire alla volta dell'America o dell'Europa».

Viva viva il Senegal, cantava Pino Daniele.
«Il film ha due chiavi di lettura: guarda all'immigrazione da un punto di vista diverso rispetto a quello a cui siamo abituati, perché segue in soggettiva i protagonisti, ma racconta anche il viaggio interiore di due ragazzini che partono non a causa di una guerra o di una situazione estremamente drammatica, ma per inseguire un sogno. Entrambi provengono da una condizione di povertà dignitosa, che mi ha ricordato la Napoli degli anni '50, prima del boom economico, ma nessuno dei due sta scappando, anzi loro sono i portatori dell'epica contemporanea».

Molti dei suoi attori hanno davvero compiuto questo viaggio in passato.
«Alcuni hanno attraversato il deserto, altri hanno avuto anche a che fare con i campi di detenzione in Libia. Ho fatto i casting a Rabat coi migranti che aspettano di compiere l'ultimo tratto del viaggio, la traversata in mare, e a Palermo ho provinato ragazzi che sono arrivati davvero coi barconi. Avevano vissuto l'avventura, come la chiamano loro, e mi aiutavano a raccontare la loro storia: a volte dirigevo, altre seguivo i loro suggerimenti. Ci sono state scene che si sono create da sole, come quella in cui tirano fuori una persona da sotto la stiva della barca». 

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