Matteo Garrone Leone d'argento a Venezia: «Do voce ai migranti che attraversano l'inferno»

«Ho raccontato una storia universale su temi etici, non politici»

Matteo Garrone Leone d'argento
Matteo Garrone Leone d'argento
di Titta Fiore
Domenica 10 Settembre 2023, 08:00 - Ultimo agg. 16:01
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«In un centro di accoglienza a Catania mi raccontarono la storia di un ragazzo di quindici anni che era riuscito a portare in salvo a Lampedusa 250 migranti stipati su una carretta del mare. Non aveva mai pilotato una barca e non sapeva nuotare, ma sentiva l'orgoglio di essere diventato il capitano. E lo urlava a squarciagola, senza pensare alle conseguenze legali del suo gesto. Questa storia mi era rimasta dentro, ma ero pieno di dubbi, temevo la retorica o che il mio sguardo potesse essere inadeguato a raccontare la sofferenza degli altri». Matteo Garrone sorride contento. Per la prima volta in gara alla Mostra, torna a casa con un premio importante tra le mani. Accanto a lui, i due giovani protagonisti di «Io capitano» sprizzano felicità da tutti i pori. E come i loro personaggi, Seydou Sarr e Moustapha Fall non vedono l'ora di firmare i primi autografi.

Come li ha scelti?
«Ho fatto lunghi provini in Senegal, loro avevano uno sguardo diverso, forse perché uno aveva gli fatto corsi di teatro e l'altro viene da una famiglia di attrici».

Il film racconta il viaggio dei migranti in presa diretta, come in un controcampo.
«Ci sono tanti tipi di migrazioni, per fame, per disperazione, per sfuggire alla guerra o al clima impazzito.

Il 70 per cento degli africani sono giovani e portatori di un'epica contemporanea, sanno cos'è la globalizzazione, la vedono sui loro telefonini e coltivano il legittimo desiderio di avere un futuro migliore, così come noi sognavamo di partire e andare alla scoperta dell'America. Solo che noi potevamo prendere l'aereo, loro devono rischiare la vita e questo è profondamente ingiusto». 

Tra gli sceneggiatori del film c'è Massimo Ceccherini.
«Mi aveva aiutato tanto anche nella stesura di “Pinocchio” e a un certo punto avevo accarezzato l'idea di raccontare la moderna Odissea di un Pinocchio migrante. In fondo, come nella favola di Collodi, anche Seydou insegue il Paese dei balocchi e si scontra con la violenza del mondo circostante. Massimo viene dal popolo e per “Io capitano”, che è un grande racconto di avventura popolare, avevamo bisogno della sua conoscenza di certe dinamiche drammaturgiche. È stato prezioso».

Come vi siete documentati?
«Siamo partiti dalle testimonianze di chi ha vissuto quell'inferno e privilegiato il loro punto di vista, invece della nostra angolazione. La struttura narrativa è la fusione tra il mio sguardo e la loro esperienza e si rifà al classico viaggio dell'eroe, solo davanti all'ignoto».

Teme strumentalizzazioni?
«Ho raccontato una storia universale su temi etici, non politici».

In fase di documentazione è stato importante il contributo di Mamadou Kouassi Pli Adama, che affrontò il viaggio quindici anni fa e oggi fa il mediatore culturale a Caserta.
«È stato fondamentale soprattutto nella prima parte del film, in Senegal, ma anche durante il viaggio dei ragazzi, quando avevamo un problema lo chiamavamo e lui, come Mister Wolf di Tarantino, risolveva tutto in un istante». 

Com'è stata la sua esperienza veneziana?
«Ho ricordi meravigliosi della Mostra, ci sono venuto per la prima volta come maestro di tennis a 18 anni e la mia allieva mi indicò da lontano un regista famoso, Nanni Moretti. Poi ci sono tornato molte volte, appassionandomi sempre di più al cinema. Sono felice di essere stato in gara e spero che il premio aiuti il percorso del film in sala». 

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