Già in «James is back» qualcosa era cambiato. Ma, rispetto a quel disco del 2021, «Stiamo cercando il mondo» (Arealive), nuovo album di James Senese, in uscita venerdì, segna una rottura ancora più netta con lo storico passato del vulcanico sassofonista fondatore del neapolitan power passando dagli Showman ai Napoli Centrale, dal supergruppo di Pino Daniele ad una carriera da solista iniziata ormai 40 anni fa. Se la filastrocca di «Muscio muscio» può trarre in inganno, confermando l'attrazione del settatottenne musicista per le strutture iterative e jazz-funk, «Senza libertà» è una ballad dolente, senza speranza: «Nuie nun simme chiù nisciuno/ ce sta a guerra, ce sta a famme/ chest'anime innocenti hanna crescere e muri'...», canta il nero di Miano, che rilancia, avvilito: «America è vecchia, Milano è luntana/ Sanghe perduto e na terra fernuta,/ e mane squartate d'a povera gente».
«Io sono quello di sempre, ma questa è una storia nuova.
«Senza libertà» è la cartina di tornasole del disco. «Ancora ancora ancora» è una canzone d'amore dal tenero sapore brasiliano, «Abballa abballa» il momento del ritmo ritrovato, dell'unico esorcismo possibile, quello della musica, unico potere salvifico intravisto, insieme a una fede molto personale («Jesus is love» chiude il disco). I Weather Report, Miles Davis, il vento di Napoli che scompiglia la sua capigliatura ancora ribelle, l'eterno Coltrane di «A love supreme»... Senese aggiunge in copertina al suo nome, come fa da qualche tempo, l'acronimo «NC», per reclamare l'identità tra lo storico gruppo di «Campagna» e il suo fare musica: è un modo di dire «Napoli Centrale sono io», per ricordare che senza Franco Del Prete si sente «solo sul fronte creativo».
«Noi guerrieri sempre pronti per una libertà che non c'è», parla al plurale in «Stiamo cercando il mondo», autore di parole e musiche dell'intero lavoro: «Corriamo corriamo senza muoverci», spiega, «ci sembra un trionfo la Napoli piena di turisti e in festa per lo scudetto, ma poi torniamo negli angoli bui delle nostre vite quotidiane, dove turismo e scudetto non illuminano, non riscaldano, non migliorano la vita degli ultimi, ma solo dei primi». C'è nostalgia, c'è mal di vivere, c'è la moglie Rina che non c'è più nel sound-ferita aperta.
C'è il suo sax tenore inconfondibile, ma anche tastiere e basso sono farina del suo sacco, l'unico strumento che non suona lui è la batteria, affidata a Fredy Malfi: «Io la notte non dormo per fare nuova musica, per trovare uno sfogo sonoro al dolore che mi attanaglia, alle illusioni che sono diventate delusioni, agli anni che sono passati senza cambiare quello che doveva cambiare, quello che volevamo cambiare, ma si sono portati via dei pezzi del mio cuore, dei pezzi importanti», racconta, mentre in sottofondo gli strumentali «El popo» e «Cocobumbubao» disegnano e ricordano incontri di culture e di popoli in tempi in cui la musica non era una storia da «strimmare»: «Mi vanno stretti questi tempi, sai? Proprio stretti».