Lazza al Palapartenope di Napoli: «Sono pronto per l'America»

«Milano mi ha stufato, inizio a studiare inglese e spagnolo e poi vado alla conquista del mondo come la Pausini»

Lazza in concerto
Lazza in concerto
di Andrea Spinelli
Mercoledì 3 Maggio 2023, 12:00
5 Minuti di Lettura

«Ci sono città come Roma o Napoli che per uno di Milano sono un po' più difficili, ma al Palaeur la settimana scorsa non c'era un metro quadro vuoto» spiega Lazza, che dopo aver espugnato capitale amministrativa e capitale economica stasera con il suo «Over-tour» porta a casa, al Palapartenope, anche un sold out nella capitale canora.

«Volevo che questo tour fosse qualcosa di epico, capace di far capire alla gente che sono sì quello di “Cenere”, ma anche molto altro» spiega lui: «Dopo un successo così, volendo fare il furbo avrei potuto tirare fuori la potenziale hit che ho nel cassetto e continuare su quella strada; invece ho preferito puntare su un pezzo anti-Sanremo come “Zonda” perché mi sembrava giusto mostrare un altro lato di me.

L'unica distinzione che conta per me è, infatti, quella tra musica bella e musica brutta». 

Sul palco è accompagnato dalla sua band, ma la sorpresa sta nel momento acustico con piano e quartetto d'archi.
«Avendolo studiato al conservatorio, il piano è il mio strumento, ma in scena devo cantare e così l'affido ad un giovane bravissimo come Emiliano Blangero. Mi fa ridere il fatto che a scoprirlo sia stata la mia ragazza su Tik Tok. Il quartetto è formato invece da due violiniste impegnate di solito con Edoardo Bennato e altri due elementi scelti di città in città».

Cosa ha cambiato il Festival nella sua vita?
«A livello di classifica Sanremo non più di tanto, ero primo quando sono entrato e sono rimasto primo all'uscita. È l'impatto col pubblico ad essere cambiato. Quando in strada la sciura che potrebbe essere mia nonna mi ferma per complimentarsi, provo una sensazione strana. Senza l'Ariston, infatti, non sarei mai arrivato alle sue orecchie. Prima lo facevano solo cafoni in tuta ginnica e zarre con le stelline tatuate sui glutei. Ora mi riconoscono pure i bimbi della materna. Perfino Simona Ventura mi ha scritto dicendo che l'ultimo pezzo spacca, ringraziandomi per la citazione».

Il successo la spaventa?
«No, mi fa bene. Perché mi insegna l'educazione: non posso parlare con gli adolescenti come parlo con una signora di 50 anni. Pure sui social devo stare attento perché ho capito che il boomer, quello che sta su Twitter, non ha l'ironia. Il mio staff mi riprende sempre per le uscite spericolate».

Tutto perfetto in questo tour?
«Quasi tutto. Io ci metto un anno a tirare fuori un'intro straordinaria che mi consenta di salire in scena col pubblico che salta e condividere tutti assieme quell'emozione e invece mi ritrovo davanti una distesa di telefonini accesi. Ma si può? Per questo sono un grande fan di Yondr, la custodia per cellulari a chiusura magnetica che ai concerti ne inibisce l'uso costringendoti a vivere il momento. Il prossimo tour voglio adottarla anch'io».

Arriva al PalaPartenope dal concertone del Primo Maggio.
«Quando lo guardavo in televisione, con tutta quella gente, mi dicevo: Quand'è che la faccio pure io sta cosa?. Ora l'ho fatto, sia pur sotto la pioggia, ho duettato con il mio amico Geolier e mi hanno persino gettato un reggiseno, bella taglia eh, sul palco: l'ho sventolato come una bandiera».

l tour termina il 6 maggio a Bologna.
«Mi trasferirò in America per un mese, un mese e mezzo, anche perché non ci sono mai stato. Basta pensare che fino a due anni fa non avevo neppure il passaporto, perché preferivo starmene in studio che affrontare la burocrazia. Poi, per andare l'anno scorso a Londra, ho dovuto farlo».

Via da Milano.
«Col tempo ho sempre meno voglia di stare nella mia città. Le voglio bene, ma ha stufato. Andare nei posti è diventato difficilissimo, non posso entrare in un ristorante che mi ritrovo un telefono in bocca. Spero che la full immersion americana mi consenta di fare una vita normale e crescere anche artisticamente».

Continuiamo con i progetti
«Inizio a studiare inglese, spagnolo e poi vado alla conquista del mondo come la Pausini. Mi piacerebbe fare all'estero quel che faccio in Italia. Ho 28 anni e quindi ancora molto da dare al mio Paese, ma voglio iniziare a piantare un seme pure fuori. Inizio l'11 maggio con una data londinese all'Electric Brixton, una sala da 1500 persone già quasi piena. Ma suonare un giorno alla O2 Arena non sarebbe male».

Collaborazioni?
«Sono megafan di Future e averlo sarebbe un vanto gigante, più per sfizio che per altro. Per un rapper italiano, infatti, l'America rimane lontana e a livello di classifica contano più i "feat" con artisti di questa parte dell'oceano. Prova ne sia che quello con Tony Effe e il francese Gazo i "Ke lo ke" è arrivato al disco di platino, all'oro quello in “Puto” col marocchino French Montana».

Un sogno?
«Ovviamente, finire nel disco di un americano».

Sfera e Rondo da Sosa, però, hanno portato la musica italiana lontana.
«Se arrivi a Drake, arrivi a casa del Capo. E loro ci sono riusciti. Ne sono orgoglioso. Anche perché Sfera è un amico e sono stato tra i primissimi a credere in Rondo». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA