Ligabue, il nuovo disco è Dedicato a noi: «Resto un cantautore con un suono da band»

«Torno in tour e ho già avvisato tutti quanti che romperò più del solito, dovremo lavorare di più, vorrei cambiare ogni sera la scaletta il più possibile»

Foto inedite del nuovo album di Luciano Ligabue
Foto inedite del nuovo album di Luciano Ligabue
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Martedì 19 Settembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 20 Settembre, 07:26
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«Io sono sempre stato un cantautore con il suono di una band», prova a sintetizzare Luciano Ligabue, raccontando «Dedicato a noi», il suo nuovo disc, in uscita venerdì. Un lavoro fedele alla linea, alle chitarre rock, al concetto stesso di album, ma anche un netto ritorno al futuro, pardon al passato: c'è lo storico produttore Fabrizio Barbacci, c'è una canzone - «Così come sei» - che è un sequel di «Salviamoci la pelle» del 1991 e ci restituisce il narrautore dei racconti brevi in musica con cui folgorò all'esordio nel 1990, quello di «Balliamo sul mondo», soprattutto di «Bambolina e barracuda». E c'è quel titolo che fa pensare subito a «Non è tempo per noi».

Partiamo subito da quel «noi», Liga? Chi siamo? Ed è tempo per noi?
«Mi verrebbe facile parlare della comunità che mi ritrovo sotto il palco, il posto dove sto meglio, dove stiamo meglio.

Ma il discorso è più ampio, complesso. È il “noi” di chi continua a sentirsi fuori moda e fuori posto. È il “noi” delle coppie, delle famiglie, dei gruppi di lavoro, delle collettività che riusciamo a mantenere vive. Sono un convinto assertore delle diversità individuali, ma so anche che tutti noi abbiamo bisogno di condividere valori, convinzioni, dubbi, suoni. Ci siamo lasciati alle spalle il peggior inizio di decennio possibile, tra pandemie, guerre, peggioramenti climatici, cronaca nera da far accapponare la pelle, una nuova generazione che non ha più un'idea di futuro. Ecco “noi” è la speranza di un futuro, in “Non è tempo per noi” c'era l'ammissione di una sconfitta e l'orgoglio dell'appartenenza».

«C'è la campagna elettorale/ vado in campagna e basta», canti in «Musica e parole» per dire del tempo del disincanto, dell'addio alle ideologie. E spunta la religione in «Chissà se Dio si sente solo».
«Sono un credente non praticante, avverto un bisogno spirituale che non si esaurisce nel dio del cristianesimo, ma la canzone è un elenco di paure, paradossali sino a prevedere il proprio opposto: la paura che dio non esista, ma anche la paura che dio esista».

Il disco si apre con «Così some sei».
«Provo affetto per quei due ragazzi, frutto di famiglie disfunzionali, che avevo messo al centro di un pezzo di 32 anni fa. Volevo vedere che fine hanno fatto: sono rimasti in provincia, riescono a salvarsi la pelle. Ne sono felice».

È una «short novel» anche il penultimo brano, «Stanotte più che mai». Con un'altra coppia di protagonisti, ma più giovani: «A diciott'anni è già fin troppo stanca/ di quei diciotto gliene han rubati due/ ha fatto stare il mondo in una stanza/ ma quella almeno era sua/ Lui nel display ha una foto di Bukowski/ e tira avanti a Xanax e caffè/ gli han sempre detto di stare un po' al suo posto/ se solo sapesse qual è».
«La pandemia gli ha rubato il tempo e la libertà e i sogni, tornano a riveder la luce e trovano l'altro o, almeno, pensano di aver trovato l'altro».

Tra gli «altri» che ti tengono compagnia c'è tuo figlio Lenny, alla batteria nel disco.
«È stata un'esperienza speciale, abbiamo passato tanto tempo insieme e ho potuto dirgli cosa c'era dietro la mia musica, mi ha conosciuto di più, meglio, in profondo».

Che cosa vuole fare Lenny?
«Ha 25 anni, suona (bene) la batteria, fa il fonico a tempo perso, ha prodotto i Clandestino. Prova a barcamenarsi: la musica è diventata un mondo difficile per chi suona strumenti veri».

Rieccolo il «cantautore con un suono da band», il cantaurocker. Nel testo di «La metà della mela» tiri in ballo De Andrè, ma in Italia resti una bestia rara, sono pochi i Tom Petty dalle nostre parti.
«È vero, ma uno come De Gregori, a un certo punto, ha sentito il bisogno di sentire un gruppo dietro di sè. Io ho bisogno di una chitarra a sinistra e una destra: fanno “parti” non accompagnano e distraggono dalle parole».

Nell'omaggio a Roma di «Una canzone senza tempo», già uscita come singolo dopo «Riderai», invece, citti Totti. Ma passiamo al tour, tanto il disco nuovo ti serve per tornare sul palco. Partirai il 9 e 10 ottobre dall'Arena di Verona per continuare fino a dicembre, passando dal PalaSele di Eboli il 21 e 22 novembre.
«Certo. Ho già avvisato tutti quanti che romperò più del solito, dovremo lavorare di più, vorrei cambiare ogni sera la scaletta il più possibile. A 63 anni, in fondo, me lo merito». 

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