Paul McCartney, le canzoni del rockdown e quell'album suonato tutto da solo

Paul McCartney, le canzoni del rockdown e quell'album suonato tutto da solo
di Federico Vacalebre
Domenica 6 Dicembre 2020, 12:10 - Ultimo agg. 13:37
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In un anno che non ricorderemo per i dischi usciti (escluso il Dylan di «Rough and rowdy ways»), venerdì 18 dicembre arriva nei negozi superstiti e in rete il «rockdown» di Paul McCartney, 78 anni e nessuna voglia di fare il giovanotto, la rockstar, la leggenda vivente.

A due anni dal fortunato «Egypt station», primo n. 1 in America di Macca dai tempi di «Tug of war» (1972), «McCartey III» ha un titolo che rimanda inevitabilmente a «McCartney» e «McCartney II»: il primo, del 1970, era il suo debutto da solista dopo lo scioglimento dei Beatles, suonato praticamente da solo anticipando il suono che un giorno avremmo chiamato lo-fi; il secondo, del 1980, anche qui senza contributi di altri musicisti, aprì all'elettronica, alle influenze new wave. Saltati tre decenni, eccolo inaugurare a suo modo questi anni Venti con un ritorno alle origini, con un altro disco in cui ha scritto, suonato e prodotto tutto, affidando le foto del disco alla figlia Mary McCartney e al nipote Sonny McCartney, ricordandoci che quelle dei primi due volumi erano state scattate dall'amata moglie Linda. 

Un disco intimo, insieme di accettazione della clausura e di reazione ad essa, scritto nella solitudine coatta in cui tutto il mondo è stato rinchiuso dentro dal Covid-19: «Vivevo in isolamento nella mia fattoria con la mia famiglia e andavo ogni giorno nel mio studio», ha spiegato sir Paul. «Dovevo fare un po' di lavoro su un po' di musica da film e questo si è trasformato nel brano d'apertura e poi, quando è stato fatto, ho pensato: cosa farò dopo? Avevo delle cose su cui avevo lavorato nel corso degli anni, ma a volte il tempo si esauriva e rimanevano a metà, così ho iniziato a pensare a quello che avevo.

Ogni giorno iniziavo a registrare con lo strumento su cui avevo scritto la canzone. Ho fatto musica per me stesso, cose che mi piaceva fare. Non avevo idea che il lavoro sarebbe diventato un album».

E l'album inizia davvero, suicidio commerciale, con un brano praticamente strumentale «Long tailer winter bird», un divertissement, con un brio tutto suo. E quella parola, «winter», che tornerà spesso, forse per mero caso, forse come consapevolezza di una stagione esistenziale. Il cantato finale è una reminiscenza giovanile ripresa in piena terza età. 

Il suono è «rustico», non country, nemmeno esclusivamente acustico, ma vintage, «da contadino» ha scritto «Rolling Stone». Il fingerpicking è di casa, «Find my ways» e la ballata «Pretty boys» potrebbero venire dal passato del Merseybeat non necessitassero di un'accettazione compassata della vita che nessun giovanotto degli anni Sessanta avrebbe avuto mai. La campagna, la fattoria, i nipotini, l'amore che salva, il freddo inverno che ti fa cercare il caldo, il chiuso, la compagnia: Paul canta confessando di aver vissuto, di aver rivoluzionato la musica e la società, e di preferire adesso uno «slow living». «The kiss of Venus» è una canzone d'amore panteista, bio, pastorale. «Women and wives», più cupa da meritare un Johnny Cash e non a caso ispirata al bluesman-folksinger Lead Belly, parla di un futuro consapevole, in cui le azioni di ognuno di noi condizionano il domani. Paolino qui usa il piano (ma è un synth!) al posto della chitarra, che poi scatena in «Lavatory Lil», un rock'n'roll. Il rockaccio forse un po' fuori posto di «Slidin'» è l'unico pezzo per cui ha chiesto una mano ai vecchi amici Rusty Anderson e Abe Laboriel. «Deep deep feeling» mantiene le promesse del titolo. Coprodotta da George Martin (la registrazione risale al 3 settembre 92), «Winter bird - When winter comes» - rieccolo il generale Inverno - chiude tutto com'era iniziato, nella tranquillità naturale della campagna («Devo scavare una fossa vicino al campo di carote», dice il testo), nella tranquillità emotiva di un amore che riscalda anche quando non brucia come da giovani.

Canzoni dal rockdown, esili, fuori moda, lontane dal logorio della vita postmoderna. Senza autotune, con quei ritornelli accennati in falsetto, quelle partenze che possono far pensare a svolgimenti più travolgenti ma poi si adagiano in un quieto mantenimento. Canzoni di un settantottenne che usciranno dieci giorni dopo il quarantesimo anniversario dell'assassinio di John Lennon (8 dicembre 1980), che non ha mai compiuto 64 anni (ricordate «When I'm sixty four»?), che si è fermato molto prima, a 40. Chissà come suonerebbero le sue canzoni del rockdown.

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