E va bene che la Dark Horse Records fu fondata da George Harrison, ma come viene in mente a qualcuno di chiamare «Assembly» un album in piena pandemia, quando ci è vietato assembrarci, assembl(e)arci, ritrovarci, congiungerci se non tra già congiunti? Però, poi il disco parte e il titolo si spiega da solo. Feriti e contenti, ci si ritrova assembrati sull’isola che non c’è, sotto il palco che non c’è, con il rocker che non c’è più, ma c’è sempre e sempre ci sarà, certo. «Assembly» è un’antologia della carriera solista di Joe Strummer (21 agosto 1952 - 22 dicembre 2002), da qui in poi semplicemente detto zio Joe, l’uomo che ci ha cresciuto e svezzato più dei nostri genitori, più delle nostre prime concubine, più del disco d’esordio dei Velvet Underground o di «Blonde on blonde». In uscita venerdì, 26 marzo, in tutti i formati - cd, doppio lp, digitale - «Assembly» assembla hit e rarità, emozioni e sentimenti, esistenze e resistenze. La carriera solista di zio Joe, con e senza i Mescaleros, guardando anche alla produzione per il cinema, riecheggia in perle minori come l’iniziale «Coma girl», «Johnny Appleseed», «Yalla», la cover marleyana di «Redemption song» a cuore aperto.
Ma, inevitabilmente, il colpo al cuore arriva quando il ricatto sentimentale della nostalgia canaglia scava nella stagione dei Clash, ancora e per sempre, «the only band that matters», l’unica band che conta.
E i ritmi in levare iniettano di sé larga parte del disco, come nel migliore dei «punky reggae party» che furono e saranno, tra la lezione di nonno Woody Guthrie (quello sulla cui chitarra c’era scritto: «questo strumento uccide i fascisti»), anticipazioni del Manu Chao prossimo a venire, schegge punk, cori da pub e da stadio, echi di folk barricadero e slogan combat rock, e non pop, come nella declinazione sanremese dello Stato Sociale.
Assembl(e)ati ed assembrati a distanza, nell’unico modo che ci è ancora possibile, quello virtuale, della memoria, della fantasia, ci si ritrova in magnifica compagnia, anche perché le note del disco le firma Jakob «figlio di» Dylan ed a gestire la Dark Horse Records è oggi Dhani «figlio di» Harrison. Nella voce di zio Joe la ruggine non dorme mai, nel suo canto libero e libertario senti il sapore del primo e dell’ultimo sorso di birra in una notte d’estate: fresco, desiderato, necessario, ma anche ormai caldo, amaro, da finire comunque, per lasciare spazio al prossimo.
E che voglia di assembrarci-assemblarci-congiungerci-concertarci, zio Joe.