Tina Turner è morta, addio alla regina che visse due volte

Era «simply the best», semplicemente la migliore

L'omaggio del mondo a Tina Turner
L'omaggio del mondo a Tina Turner
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Giovedì 25 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 15:05
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La leonessa che se n'è andata ieri, a 83 anni dopo una lunga malattia, nella sua casa a Kusnacht, vicino Zurigo. Era «simply the best», semplicemente la migliore. 

Anne Mae Bullock, da Brownsville, Tennessee, per tutti e per sempre Tina Turner, ha vissuto almeno due vite, è uscita da più tunnel, è sopravvissuta a più incubi, ci ha regalato più paradisi, tutti profani.

Ha fatto ballare il pubblico in micro-minigonna, accanto al marito-carnefice Ike Turner e le sue cloni Ikettes. È stata provocante signora del soul, acid queen (il ruolo impersonato nel musical «Tommy»), supernonna. Si è trasformata da grande prostituta rock in miracolo della terza età. Aveva dalla sua parte l'ugola più sensuale della terra, persino più sensuale di quelle curve, di quelle gambe leggendarie che ostentava ancora pochi anni fa: «Mi sento come una ragazzina. Non guardo indietro, cerco opportunità nuove, esperienze diverse», raccontava quando i suoi coetanei erano ormai in pensione da un pezzo. «Non mi sento sorpassata, fuori moda. Oggi tutti fanno ginnastica, yoga, vanno in palestra per curare il proprio corpo. Io l'ho sempre fatto, e non solo correndo da un angolo all'altro di un palcoscenico. Forse per questo qualcuno dice che il mio corpo non se la passa tanto male, almeno per un'anziana signora».

I suoi esordi sono stati «duri, durissimi» ricordava, negli occhi gli anni con Ike, marito-pigmalione-padre-padrone.

Anni di canzoni sessualizzatissime, botte, sopraffazioni, violenze materiali e psicologiche. Anni che avrebbero distrutto chiunque, tranne lei: «Il problema non era solo Ike, anche se per liberarmi di lui, delle sue mani, della sua paura, ci ho messo anni. Con gli occhi pesti e il cuore a pezzi. Per i neri fare carriera nella musica era difficile, il razzismo era una realtà. Per fortuna Otis Redding, Marvin Gaye e Sam & Dave hanno abbattuto quel muro della vergogna».

Demonio in abito rosso, maestra dichiarata di uno scolaretto d'eccezione come Mick Jagger, ha stregato il circuito del r'n'b con capolavori come «River deep, mountain high», scritta dal marito e prodotta da Phil Spector: il suo tono vocale era orgogliosamente depravato, voce e strumento cercavano un crescendo paragonabile solo all'acme di un orgasmo, come d'altronde succedeva con «Nutbush city limits». Le riletture di «Honky ton woman», «Proud Mary» e «Come together», ma anche una tournèe con i Rolling Stones, presentarono la coppia al pubblico bianco. Pantera sul palco, sapeva diventare anche gattina che faceva le fusa: «Ike mi ha preso e mi ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Ha fatto di me quello che ha voluto», denunciava. E, ancora: «Mi picchiava. Avevo sempre un occhio nero e altri segni. E poi aveva donne dappertutto. Non mi dava soldi. Aveva una pistola. Sentivo che da un momento all'altro mi avrebbe sparato un colpo in testa».

Una volta rotta una relazione così tossica, una volta denunciata la violenza dell'uomo che pure, con «Rocket 88», reclamava la paternità del rock and roll, ebbe bisogno di tempo per leccarsi le ferite. I due divorziarono professionalmente nel 1976, superTina tornò protagonista nel 1984 con un album come «Private dancer», al suo servizio autori come Mark Knopfler e produttori come Rupert Hine, Martyn Ware e Ian Craig Marsh. Meno soul, più elettronica, modernamente sensuale, anche il look era da sex symbol postmoderno. Un successone, grazie a canzoni come «What's love got to do with it», «Let's stay together», una versione di «Help!», «Better be good to me», «I can't stand the rain»...

 

Ormai tutto era ripartito, era tornata la regina Tina. Nel 1985 fu tra le voci di «We are the world» e del «Live aid» (storico il duetto con Jagger) e tra i volti del film «Mad Max», a cui regalò anche l'hit «We don't need another hero». L'anno successivo per «Break every rule» sfoggiò le collaborazioni con Bryan Adams, David Bowie, Mark Knopfler, Phil Collins, Eric Clapton e Steve Winwood. Nel 1991 firmò l'autobiografia-bestseller da cui fu tratto, due anni dopo, il film «Tina - What's love got to do with it» diretto da Brian Gibson, con Angela Bassett nei suoi panni. Nel 1995 Bono e The Edge scrissero per lei, e per l'omonimo film di James Bond, «GoldenEye». 

Cercava nuovi stimoli, ormai buddista non voleva finire prigioniera della propria sexy leggenda. Incise «Confidential» dei Pet Shop Boys, «Unfinished sympathy» dei Massive Attack, nel 98 duettò «Cose della vita» con Eros Ramazzotti. Nel 1999 pubblicò il suo ultimo album «Twenty four seven», nel 2009 si ritirò concedendosi timidi ritorni in scena, ormai forte degli oltre duecento milioni di dischi venduti.

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Ogni volta che la rivedevi ti chiedevi come facesse a conservare quella grinta, quella faccia, quel corpo, quella voce, quella voglia di andare avanti, nonostante tutte le botte prese, le cattiverie subite. Come fa, signora Turner, la interrogavamo ogni volta. E lei, il sorriso non intaccato dalle rughe: «Facile, sono semplicemente la migliore». Davvero «The best», citando l'hit del 1991.

Ma la vita conservava nuovi dolori per lei, che intanto aveva sposato Erwin Bach, di 16 anni più giovane. Nel 2013 un ictus, nel 2016 la diagnosi di cancro intestinale, peraltro curato omeopaticamente. In dialisi, valutò l'idea del suicidio assistito, poi le fu trapiantato un rene, donatole dal marito. Nel 2018 si suicidò il primogenito, Craig Raymond Turner, l'anno scorso morì il secondo, Ronnie Turner, anche lui affetto da cancro. Troppo anche per lei, per la migliore. 

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