Maria Callas e Napoli, storia d'amore e melodia

Se la Scala fu il tempio dei suoi grandi trionfi, Napoli fu testimone dei primi successi

Maria Callas a Napoli
Maria Callas a Napoli
di Donatella Longobardi
Mercoledì 8 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 9 Novembre, 07:30
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Al cronista del «Il Mattino» che il 26 marzo del 1956 seguiva la serata, confessò che a Napoli avrebbe lasciato «un pezzo del suo cuore». Maria Callas aveva appena concluso un breve concerto al Circolo della Stampa, in Villa comunale, insieme con alcuni colleghi: il baritono Rolando Panerai, il tenore Augusto Pedroni e il basso Antonio Zerbini. La diva, in città per tre repliche di «Lucia di Lammermoor» al San Carlo, era stata invitata dall'allora presidente della Federazione napoletana della stampa Adriano Falvo. E, accompagnata al pianoforte da Pietro Tuccillo, aveva cantato due dei suoi hit: «Casta diva» dalla «Norma» e il finale del primo atto della «Traviata» di Verdi: «È strano...», davanti ad un pubblico entusiasta. Era uno dei rari casi in cui la soprano s'era esibita a titolo completamente gratuito. D'altronde il cachet ottenuto dal teatro era da capogiro per l'epoca: un milione di lire a sera. Lo aveva preteso il marito-manager Giovanni Battista Meneghini. Lei, in quegli anni era al culmine della notorietà alla Scala e a Napoli, dove nel teatro guidato dai fratelli Di Costanzo dominava la sua eterna «rivale», Renata Tebaldi, avevano organizzato una raccolta di firme con la richiesta di poterla riascoltare nel tempio del Niccolini.

Perché la Callas, di cui ricorrono i cent'anni dalla nascita avvenuta a New York da genitori immigrati greci il 2 dicembre del 1923 (o il 3 o il 4 secondo diversi biografi), a Napoli aveva cantato giovanissima. Al San Carlo l'avevano chiamata appena arrivata in Italia dagli Stati Uniti, e in diverse occasioni, dal 1949 al 51. Mentre il debutto alla Scala risale al 50 in una «Aida» come sostituta della Tebaldi, e l'accoglienza dei melomani milanesi non fu delle migliori.

Dunque l'annuario sancarliano riporta: «Turandot» il 12/2/1949 con il rumeno Ionel Perlea sul podio e un giovanissimo Giulio Andreotti in platea; Abigaille nel «Nabucco» diretto da Gui il 20/12/1949; «Aida» il 27/4/1950 con direttore Tullio Serafin; Leonora nel «Trovatore» il 27/1/1951, sempre con Serafin sul podio. Quindi il ritorno nel 56 con il capolavoro di Donizetti diretto da Molinari Pradelli.

Ma c'è di più. A rinforzare il legame della superstar della lirica con Napoli c'è un altro episodio poco noto. «Maria mise piede la prima volta in Italia proprio a Napoli. Era un venerdì, il 27 giugno del 1947, quando la giovane soprano arrivò da New York a bordo di una nave cargo russa Rossia e con soli 50 dollari nella borsa. Era diretta a Verona dove era stata ingaggiata per cantare ne “La Gioconda” di Ponchielli all'Arena. Con lei c'era il celebre basso Nicola Rossi Lemeni grazie al quale in America, pur di ottenere un'audizione, s'era piegata a fare la baby sitter in casa del direttore d'orchestra italiano Sergio Failoni, ed era entrata in contatto con il direttore artistico veronese, Giovanni Zanatello». Lo racconta Sergio Ragni, cultore e studioso di Rossini, ma anche grande appassionato di voci e callassiano doc. «Purtroppo», confida, «non ho avuto la possibilità di ascoltarla dal vivo per questioni anagrafiche.

Ma è stata lei, la sua voce straordinaria e unica, il suo stile e la sua tecnica raffinata, ad avermi avviato sulla strada della lirica. Prima di lei certe fioriture del belcanto erano affidate solo ai soprani leggeri. La Callas cambiò completamente prospettiva perché con la sua estensione di tre ottave spaziava dalle note più gravi al Mi sovracuto». Dopo l'infanzia a Manhattan dove il padre aveva una farmacia, era tornata in Grecia con la madre e aveva studiato al Conservatorio di Atene. Ma fu grazie agli studi con Elvira de Hidalgo che aveva imparato a piegare la sua voce possente alle esigenze delle fioriture belcantiste. Una voce, che, sottolinea ancora Ragni, è arrivata a noi così com'era anche grazie alle registrazioni pirata, come quella di un'intera recita del «Nabucco» diretto da Vittorio Gui e con Gino Bechi nella parte del protagonista, proprio al San Carlo.

La prima registrazione in assoluto della voce della diva. E con il bis del coro del «Va' pensiero» e sventolio di tricolori. «In quegli anni», spiega lo studioso, «le opere venivano trasmesse dalla radio ogni sera e c'erano appassionati che con mezzi che oggi si definirebbero rudimentali registravano ogni nota. C'era un mercato parallelo dei dischi pirata con scambi internazionali, un modo per ascoltare live le grandi voci come quella della Callas. Basti dire che la Emi mise il suo marchio sulla registrazione napoletana del “Trovatore” in cui lei, giovanissima, si esibiva al fianco di Giacomo Lauri Volpi. Il tenore fu successivamente uno dei suoi più appassionati sostenitori e ne sottolineava le straordinarie doti interpretative».

Insomma, se la Scala fu il tempio dei suoi grandi trionfi, Napoli era stata testimone dei primi successi della diva e di alcuni momenti salienti della sua vita. Anche privata. Si ricordano, in particolare, le sue vacanze a Ischia, al Regina Isabella, ancora in compagnia del marito. Capri, invece, era stata tappa della fatidica crociera sullo yacht Christina dove era stata invitata da Aristotele Onassis insieme a Winston Churchill e altri volti noti della politica e del jet set. Era l'estate del 1959 e, stando ai bene informati, il matrimonio tra Maria e Meneghini era già in crisi. S'invaghì follemente dell'armatore, greco come lei, e nacque la love story che avrebbe portato non solo al divorzio ma al declino e alla fine della carriera della grande soprano. E alla sua scomparsa.

Prima, però, la Callas era tornata ancora una volta a Napoli. Era il 3 settembre del 1960 e i duchi Francesco ed Elena Serra di Cassano avevano organizzato nel loro palazzo di Monte di Dio quello che viene ricordato come «il ballo dei re» in occasione delle regate napoletane per le Olimpiadi di Roma. Per l'occasione era stato aperto anche il portone di via Egiziaca, portone affacciato su Palazzo Reale e chiuso in segno di lutto dal 1799 dalla morte del giovane patriota protagonista della sfortunata rivoluzione partenopea, Gennaro Serra di Cassano. E nei saloni, oggi sede dell'Istituto per gli Studi Filosofici, avevano danzato in abito da gran sera i duchi di Windsor, il re d'Egitto Faruk, Orson Welles e Salvador Dalì, le eredi al trono d'Olanda e di Svezia, Sofia di Grecia e Gianni Agnelli. Maria Callas era arrivata alla festa in compagnia di Onassis e della giornalista Elsa Maxwell che l'aveva inserita nel gran mondo. La coppia era giunta in città a bordo del panfilo del magnate greco, ancorato al largo di Mergellina. Un motoscafo li aveva portati a riva. Si racconta che però, a causa del mare mosso, l'abito della cantante si bagnò, tanto che dovette in fretta e furia cambiarsi rinunciando alla mise di lusso che aveva scelto in un primo momento per la soirée. Ma tant'è. 

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Poi, perduta la voce, perduto l'amore di Onassis che nel 1968 aveva sposato la vedova Kennedy, falliti il tentativo di ritornare sulle scene e la tournée internazionale (1973-74) al fianco del tenore siciliano Giuseppe Di Stefano, Maria morì sola nella sua casa di Parigi al 36 di Avenue George Mandel. Era il 16 settembre 1977. Pochi giorni prima erano arrivati nella capitale francese Massimo Bogianckino e Francesco Canessa, dovevano concordare con lei una doppia masterclass da tenersi a Firenze e Napoli, come riferisce l'ex sovrintendente del San Carlo in un suo libro sulla presunta rivalità tra Callas e Tebaldi, C'eravamo tanto odiate. I due ospiti si presentarono puntuali all'appuntamento e sostarono qualche minuto nel suo elegante salotto prima che la governante riferisse che la signora non stava bene, che chiedeva scusa e rinviava l'incontro. Quell'ultima volta Napoli l'aspettò invano. 

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