Renzo Arbore: «Ferragni? Sulla beneficenza ci vuole serietà. Ho vissuto con il sorriso
e oggi pregare mi fa bene»

«Serve credibilità, non operazioni commerciali»

Renzo Arbore: «Ho vissuto con il sorriso e oggi pregare mi fa bene. Ferragni? Sulla beneficienza ci vuole serietà»
Renzo Arbore: «Ho vissuto con il sorriso e oggi pregare mi fa bene. Ferragni? Sulla beneficienza ci vuole serietà»
di Andrea Scarpa
Domenica 14 Gennaio 2024, 01:56 - Ultimo agg. 07:45
7 Minuti di Lettura

Alla domanda su cosa abbia sempre cercato nella sua carriera, il Cavaliere di Gran Croce - Mattarella gli ha dato l’onorificenza più alta della Repubblica italiana il 15 gennaio 2022, ma già dal 1992 era Grande ufficiale – Renzo Arbore risponde senza esitare: «Ho sempre cercato di razzolare nell’inconsueto». 

Come?

«Da piccolo sognavo di fare l’artista. Che per me significava, e significa, essere originali e un po’ eccentrici. Cosa che ho sempre ricercato nei circa cento personaggi che ho lanciato (da Roberto Benigni a Milly Carlucci, da Nino Frassica a Maria Grazia Cucinotta etc, ndr), nei ventuno format che ho creato (da Speciale per voi a Quelli della notte, dall’Altra domenica a Indietro tutta etc, ndr), e nei film, nei dischi e nei concerti che ho fatto. Quando per motivi politici la parola patria era bandita, per esempio, ci feci un programma intero».

Telepatria International?

«Esatto. Nel 1981 si poteva dire solo Paese. Non c’era la sfilata ai Fori Imperiali e le bandiere venivano quasi nascoste. E io organizzai tre puntate di uno show tutto sull’italianità con Tognazzi nei panni di San Giuseppe e Villaggio in quelli di Cristoforo Colombo. Benigni lo trasformai in Dante Alighieri e Verdone in un anziano garibaldino. In studio invitai veri marinai e soldati, misi il tricolore ovunque, e chiamai Lory Del Santo come ospite fissa».

Con lei, che pochi mesi prima lanciò su Rai2 come sexy archivista in “Tagli, ritagli e frattaglie”, ebbe una storia, giusto?

«Sì. Brevissima, un flirt. Così fu anche per De Crescenzo».

E Fellini? 

«Federico rimase molto colpito da lei. Gliela presentammo noi, su sua richiesta, dopo che ci eravamo riappacificati. Andammo nel famoso appartamento di Lory al Colosseo (in quel palazzo l’ex ministro Scajola nel 2010 comprò una casa pagandola “a sua insaputa” un prezzo molto più basso, ndr). Lui si era arrabbiato con me perché nel film F.F.S.S. l’attore che lo interpretava non aveva i capelli. Era vanitoso, Federico».

Renato Zero: moglie, carriera, controversie e look stravaganti: chi è il celebre cantante oggi a Domenica In

La sexy archivista, le Sorelle Bandiera – tutti uomini – le ragazze Coccodè: nella Rai di oggi, con l’ossessione del politically correct, sarebbero passate?

«Se andò bene all’epoca, in pieno femminismo, non penso che oggi ci sarebbero problemi. In tv nel 1976 i travestiti non si erano mai visti, eppure bucarono lo schermo: i bambini a Carnevale si vestivano da Sorelle Bandiera».

Fra le tante cose fatte, tiene più a quelle musicali o televisive?

«Adesso difendo di più la mia anima musicale perché quella televisiva è stata talmente prepotente che si è mangiata tutto il resto.

In trent’anni, dal 1991 al 2021, con l’Orchestra Italiana ho fatto più di 1600 concerti in giro per il mondo facendo riscoprire a tutti il fascino della canzone napoletana classica. Aver rilanciato questo patrimonio unico mi inorgoglisce».

La cosa che le è venuta meglio qual è?

«Difficile da dire. Credo Quelli della notte».

La gestione di quel successo fu complicata?

«Dopo Quelli della notte mi sentii come se fossi caduto da cavallo. Dovevo rimontare subito in sella. E così feci Indietro tutta, un programma completamente diverso a base di improvvisazioni e satira sulla tv. Un trionfo. Alla fine dell’ultima puntata, mentre cantavo Io faccio ‘o show, mi fu chiarissimo che non avrei fatto il tris. C’è un momento in cui, senza microfono, dico: “Basta, ci rivediamo tra 20 anni”. Non potevo chiedere di più. Dovevo cambiare. E nacque l’Orchestra Italiana». 

E quella venuta peggio?

«La famiglia. Non aver sposato Mariangela Melato».

Chi le ha dato il consiglio più prezioso, lei che ne ha dispensati così tanti?

«Indirettamente, Ruggero Orlando. Ascoltandolo, io che da ragazzino ero timido e impacciato, realizzai che si poteva dire qualsiasi cosa, anche un po’ difficile, con semplicità. E poi il mio amico e complice Ugo Porcelli. Avere il conforto di una persona che stimi e sa dirti cosa funziona o no, per me è stato fondamentale».

Cosa non è andato bene?

«F.F. S.S., il secondo film. Fu criticato, poi è diventato un cult».

Lo farà mai un terzo film?

«No. Troppo faticoso».

E il progetto “Foggiattan”?

«Pazienza, non lo farò. Volevo raccontare come tutte le città, anche quelle di provincia, come la mia Foggia, un po’ si assomiglino con il circolo culturale, le invidie, la bella ragazza... Un po’ come Manhattan di Woody Allen». 

Ha detto di aver messo al centro della sua vita “educazione, generosità e fratellanza. Merce rara nel mio ambiente”. Come ha fatto a sopravvivere?

«Con questi tre principi e con il sorriso. Ho avuto gente che si è dimostrata ingrata, Monicelli mi aveva avvisato, anche se poi si è pentita. Va bene così».

È vero che le chiesero di fare il sindaco di Napoli?

«Sì. Craxi. Venne nel camerino dove mi stavo preparando per fare lo sketch di Malafemmena con Gigi Proietti: “De Crescenzo ha già detto di no, tu che fai?”. “Te lo dico dopo”, risposi. Lui andò in platea e io mi vestii da donna, come da copione. Quando entrai in scena vestito in quel modo lo guardai negli occhi e ci dicemmo tutto (ride, ndr)». 

Il talent scout infallibile oggi su chi punterebbe?

«Per la tv di oggi Stefano De Martino. Dice di ispirarsi a me». 

Chi la fa ridere?

«Lillo e Greg».

C’è qualche giovane cantante che la entusiasma?

«No. Mi sto dedicando alla scoperta di cantanti portoghesi, messicani e sudamericani in genere. Mia complice è Tosca, che ammiro molto. Spero che l’Officina Pasolini che dirige a Roma non venga sfrattata dal ministero degli Esteri come sembra».

Sanremo lo vedrà o dura troppo?

«Certo. Per capire che aria tira, non me lo perderò». 

Arbore avrebbe scommesso su Amadeus?

«Come dj, sì. Per il resto è stato sorprendente: è diventato bravissimo».

Che previsione fa, l’anno prossimo ci sarà ancora lui, o no? 

«È benvoluto dagli artisti, è informato, sceglie bene le canzoni. Chi ci mettono al suo posto?».

Lo sfizio da togliersi?

«Inaugurare Casa Arbore a Foggia. Uno spazio dove esporre la mia grande collezione di oggetti in plastica».

Il Comune le aveva dato Palazzo Dogana, ma ci sono state contestazioni: tutto a posto?

«Sì. È cambiata la location. Ora esporremo tutto nell’ex liceo scientifico di via Bari. Dovrebbe aprire quest’estate per il mio 87esimo compleanno. Ci lavorano Cappellini & Licheri, gli stessi architetti di Indietro tutta».

Per la Lega del filo d’oro lei fa il testimonial e la beneficenza da 35 anni. Visto il caso Chiara Ferragni, spiega come ci si mette al servizio degli altri in maniera corretta?

«È semplice. Con generosità e serietà. Senza mai mischiarla a operazioni commerciali. La credibilità è tutto».

Nel 1963, dopo la laurea a Napoli, tornò a Foggia per un anno e cadde in depressione: come andò?

«Ero disoccupato, mi sentivo sconfitto, non sapevo cosa fare».

Andò dall’analista?

«Non si usava. Me la feci passare da solo».

Andò da Padre Pio, però.

«Sì. Prima, stizzito, mi disse di fare quello che volevo, poi di scegliere l’avvocatura».

Prega ogni tanto?

«Sì, mi aiuta a vivere. Sono cresciuto in una famiglia cattolica, ho anche due cugine suore».


Da qui a cent’anni, quando sarà, come un antico egizio cosa porterebbe dall’altra parte?
«Non lo so. Forse una canzone napoletana come Era di maggio. E poi il ricordo del mio amico Luciano (De Crescenzo, ndr) e della mia Mariangela (Melato, ndr)».

© RIPRODUZIONE RISERVATA