Franco Balmamion incorona Napoli: «Patrimonio mondiale del ciclismo. Come Montecarlo per i motori»

L'ex campione è da poco entrato nella hall of fame del ciclismo

Franco Balmamion vinse due edizioni consecutive del Giro d'Italia
Franco Balmamion vinse due edizioni consecutive del Giro d'Italia
di Silver Mele
Venerdì 10 Maggio 2024, 20:51 - Ultimo agg. 11 Maggio, 14:22
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Franco, Gigi e Alberto, facce di una stessa medaglia. La prima d’oro perché ammantata di vittorie eterne, successi e onori concessi a quanti pedalando sono riusciti ad aggiornare statistiche e preziosissimi palmares. Le altre di campioni che avrebbero potuto diventarlo, perché nell’apprendistato del dilettantismo Gigi Mele di vittorie prestigiose ne aveva colte tante. A Cuorgnè, la classica che battezzava gli astri nascenti del ’60, i due amici erano arrivati a braccetto e per Franco Balmamion, meno veloce allo sprint, non c’era stato niente da fare. Alberto Marzaioli da Maddaloni era invece diventato il pupillo di Gino Bartali nelle file della San Pellegrino e nel 1961 divenne il primo campano della storia a completare la Roubaix, tra fango e fulmini.

«Alla fine Bartali mi pulì la faccia – raccontò qualche anno dopo Alberto – perché ero così sporco che neanche mi riconosceva. E allora? , mi chiese. Ma che schifezza di strade, gli risposi». La storia che vogliamo raccontarvi e che affidiamo ai ricordi di Franco Balmamion è un’altra e si tinge di rosa. Il 19 maggio del 1963 il Giro d’Italia per la prima volta nella sua storia partì da Napoli, con il plotone, assi o francescani gregari diretti verso Potenza. Quei tre ragazzi del ’63 incrociarono destini e sogni con le pedivelle.

«Scelse, Napoli, una straordinaria, bellissima giornata di sole per augurarci buon viaggio. Da via Caracciolo, attraversando la Marina salimmo su per la Doganella tra ali di folla festante e colori incredibili.

In realtà conoscevamo già il calore della città perché il Giro della Campania era una classica nazionale con partenza e arrivo a Napoli, sulla pista dell’Arenaccia con tantissimi appassionati e tifosi.

Ma il Giro, si sa, è tutt’altra storia. Ricordo bene gli appassionati che venivano ad accoglierci in albergo il giorno prima: era un altro ciclismo, erano altre emozioni, forse più genuine e semplici. Ma Napoli è patrimonio del ciclismo che giustamente ha capito di non poterne fare a meno: un pò come Montecarlo per il mondo dei motori. Godemmo quell 19 maggio in corsa dello spettacolo per pochi chilometri perché la prima tappa per Potenza fu davvero durissima e fece selezione. Adorni arrivò da solo poi un gruppetto di una decina di noi ad un paio di minuti. Ma ci furono anche uomini di classifica come Taccone che persero dieci minuti. Se vogliamo un’analogia con le prime tappe di questo Giro in cui da subito è stata battaglia».

Nel canavese si tramanda dei voli di un’aquila capace di conquistare giovanissima due giri d’Italia in fila, quelli del 1962 e del 1963, senza vincere una frazione ma limando il tempo dei cronometri come pochissimi altri sono riusciti nella storia delle grandi corse a tappe. E ciò che oggi il grande Franco, da poco nella hall of fame della corsa rosa, si porta dietro è uno scrigno ricchissimo di aneddoti e medaglie, cicatrici e sospiri, dediche eterne all’amatissima compagna Rosanna e ai figlioli Silvia e Mauro con i quali è tutt’uno. Sorride fiero quando gli si fa notare delle stimmate ereditate dalla pronipote Anita Baima, campionessa mondiale juniores in pista nella corsa ad eliminazione: brontola come sa far lui perché «ai giovani – dice – non bisogna tirare il collo prima che diventino professionisti». E che ogni cosa ha il suo tempo.

«Sono passati sessant’anni e le differenze sono inevitabili. Il mezzo è cambiato tantissimo e favorisce la velocità. Ma posso dire che le nostre biciclette erano più sicure. Non si cadeva così tanto come oggi. Hanno senz’altro migliorato la tecnoclogia che non vuol dire maggior sicurezza. La prepazione, l’alimentazione, gli allenamenti: tutto era diverso e oggi tendente allo scientifico. E mica c’erano le radioline in corsa? Sti ragazzi sembrano radiocomandati, noi facevamo di testa nostra e si andava quasi sempre allo sbaraglio. Ma va bene così, giusto che sia così».

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Il mezzo è cambiato, il mondo è cambiato. E il ciclismo non poteva scampare alla metamorfosi che rende sempre più fenomeni e veloci i pedalatori. Eppure quel ciclismo in cui i loghi epici e le maglie Carpano, Baratti, Ignis, Legnano, Fides, Gazzola, San Pellegrino, Bianchi, Torpedo ed altre ancora erano veri e propri inni del cuore. Alla stregua dei ragazzi d’un tempo che infiammavano e dividevano le folle.

«Noi arrivavamo subito dopo Coppi, reso leggenda dale grandi imprese e dalla morte prematura. Di noi si leggeva sui giornali o si ascoltava De Zan alla radio. Questi sono iperprofessionisti. Pogacar è il più forte e vincerà il giro anche se secondo me sbaglia il modo di correre. Perché in gruppo bisogna saperci stare e se continua come ha fatto finora non penso godrà di tanta simpatia. Ma è in condizione smagliante, tanto più forte. Posso dirgli che gli amici servono eccome e gli auguro di non prender mai una cotta o di aver bisgno d’aiuto».

Infine gli aneddoti e un pensiero speciale a Gigi Mele, gregario canterino e amico, torinese di…Calvi Risorta, nel casertano. Parlandone Franco rallenta il ritmo delle pedalate del cuore. Pensa a chi non c’è più. A chi la sua corsa l’ha già conclusa. Eppure gente così è destinata a vivere in eterno.

«Una volta, al Giro del ’64 siamo passati nei pressi del suo paese. Poco prima di arrivare, Gigi ripeteva: “Mi raccomando ragazzi, adesso andate piano, mi devo fermare al paese, a casa mia, devo portarvi l’anguria fresca”. – Ma io scherzosamente ho iniziato ad andar forte e non è riuscito a riprendermi. Ha dovuto gettare l’anguria, capisci? Quando l’ha saputo, si è arrabbiato, ma è finito lì, eh?! Gli dissi che l’anguria non mi piaceva e prendemmo a ridere. Si giocava sempre. Era così tra noi. Figli di un’altra epoca e di tante fatiche.  Gigi era anche più scherzoso di me. Quindi è passato tutto in un attimo, come sempre. Sai qual è il guaio? È che da più di un anno Gigi ci ha lasciato. Come Imerio Massignan qualche giorno fa ed altri amici che diedero da Napoli il primo colpo di pedale al Giro ‘63».

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