Genoa-Napoli, Zangrillo: «Mi tengo stretto Retegui»

Il luminare presidente del Genoa: il nostro bomber diventerà come Osimhen

Il presidente Zangrillo
Il presidente Zangrillo
di Pino Taormina
Venerdì 15 Settembre 2023, 09:47 - Ultimo agg. 17:38
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«Lo scudetto che è tornato al Sud con il Napoli è una grande cosa per il nostro calcio. Così come sarebbe stupendo consentire a tutti i club di essere competitivi. Come fino agli anni 90, prima dell'inizio dei vari monologhi». Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano, è da quasi due anni alla guida del Genoa che domani affronta il Napoli a Marassi. 28mila abbonamenti, un entusiasmo alle stelle per la promozione e per la grande festa per i 130 anni che si avvicina.

Professore, che Genoa deve aspettarsi Garcia?
«Dobbiamo essere competitivi in ogni partita, anche quelle con le squadre che hanno la qualità e la forza del Napoli. L'obiettivo è mantenere la categoria, magari facendo soffrire il meno possibile i tifosi e il presidente. Conosciamo il valore degli azzurri, però tutti noi sappiamo che il successo, nel calcio come nella vita, è determinato sempre dagli stimoli, dalla testa e dalla voglia. Ed è qui che si gioca Genoa-Napoli».

Ha il merito di aver portato in Italia Retegui. Lo fa lo scambio con Osimhen?
«No, mi tengo stretto Mateo. Perché gli voglio tanto bene e perché ha tutte le caratteristiche per diventare come Osimhen. E questa sarebbe una grande cosa anche per la nostra Nazionale».

Lei si è tenuto Gilardino dopo la promozione, il Napoli ha cambiato.
«Ricordo bene la Roma di Garcia, e so anche che ripetersi a determinati livelli sia sempre molto complicato. Ma i campioni d'Italia hanno un'ossatura unica, degli esterni che mettono i brividi e un signore in area di rigore che fa quello che vuole, straripante sotto il profilo agonistico ed eccezionale sotto quello tecnico.

Osimhen è senza dubbio l'arma in più. E lo sarebbe in qualsiasi squadra giocasse».

Che presidente è De Laurentiis?
«Lo conosco poco. E a me incuriosiscono più i tifosi che i presidenti».

A proposito, ma questo gemellaggio finito tra le due tifoserie è un grande peccato?
«Non so di chi sia la colpa, sono due città di mare, popolari, simili e in cui il tifo recita una parte importante nella vita di tutti i giorni. È un peccato non tornare a essere amici: gli ultras hanno le loro regole, se c'è bisogno di me per far tornare le cose come prima, io ci sono. Il calcio deve essere una festa, un gioco, utile a farci dimenticare le cose brutte».

Con Napoli che legame ha?
«Sono andato per almeno 15 anni in vacanza a Ischia all'inizio del mio matrimonio tanti anni fa, ho visitato la città decine di volte e ho fatto crescere a casa mia, per sei mesi, un giovane medico che poi non ha resistito al richiamo della sua terra e ora si è affermato al Monaldi».

Il calcio è proprio come se lo immaginava quando è diventato presidente?
«Il calcio ha tutti i pregi e i difetti della nostra società. Dunque, sta mutando pelle. Io mi pongo con grandissima umiltà cercando di capire il nuovo mondo. E mi rendo conto che il calcio non è solo la partita della domenica. Ma è tanto altro».

Berlusconi manca al calcio italiano?
«Fa parte di un mondo che, purtroppo, non c'è più. È stato l'interprete più importante, carismatico e vincente di quel calcio legato alla grande imprenditoria italiana, legato alla famiglia. Il calcio è ora è divenuto globale, le regole economiche del gioco non sono gestite da noi perché subiamo i players economici che arrivano dall'Arabia. È in corso una metamorfosi».

Da medico, cosa la colpisce quando va in Lega Calcio?
«Tante cose non le comprendo. Ma una cosa mi piacerebbe: che ci fosse un contesto più educato e rispettoso delle minoranze».

È un pericolo?
«Adriano Galliani è una derivazione diretta di Silvio Berlusconi ma vive nel calcio da cinquant'anni e per me lui è un fratello maggiore che mi ha istruito e mi ha aiutato ad osservare che il divario di ricchezza, il divario di disponibilità economiche tra le grandi che competono a livello europeo in Champions e le intermedie e le sette, otto "piccole" è un divario che cresce a dismisura. E se va avanti di questo passo porterà a una serie A sempre con minor interesse. Non c'è più la Superlega, ma c'è un Supercampionato».

Una delle leve su cui intervenire?
«La riforme delle leggi vigenti che ora fanno sì che la torta venga spartita con fette che non sono proporzionate ai valori di certi parametri».

Quali a suo avviso devono essere rivalutati?
«Se porti 27.700 abbonati allo stadio devi essere aiutato o mortificato? Può non essere considerato, per esempio, il valore di una società fondata 130 anni fa e che per 40-50 anni ha favorito la crescita e la conoscenza del calcio nel nostro Paese tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Il parametro è la storia. La storia non viene presa in considerazione. In Lega Calcio c'è tabellone meraviglioso in cui ci sono tutti i vincitori degli scudetti. Da un certo momento in poi, dai primi anni Novanta, hanno iniziato a vincere sempre gli stessi. E che appeal ha questo calcio?».

Lo scudetto del Napoli è un segnale?
«Spero che sia l'inizio di una rivoluzione, ma aggiungo: chi si trova sul gradino più alto del podio deve capire che in quel momento è gravato da una responsabilità diversa. Quando si è vincenti, quando si è il Verstappen della situazione bisogna avere lungimiranza, intelligenza e generosità per migliorare il sistema».

Lo scudetto a chi?
«È un campionato molto difficile, se lo giocano Inter, Milan, Juventus e Napoli: l'Inter mi pare in alcuni momenti straripante, il Milan ha cambiato molto e ha fatto bene, la Juventus potrà concentrarsi solo sul campionato e il Napoli è campione in carica».

E la lotta per non retrocedere?
«Tradizionalmente, due neopromosse su tre tornano in B l'anno dopo. Noi ci siamo affidati ancora a Gilardino, un tecnico che ha tutte le doti per poter far bene, a cominciare dall'umiltà. Poi è uno che fa star bene tutti quelli che gli stanno attorno».

Perché i più forti vanno tutti via dalla serie A?
«Perché è falsato il potere di acquisto da parte di chi può pagare il commissario della nazionale 10 volte in più rispetto a quello che prendeva qui da noi».

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