È soltanto l’ultimo spregevole episodio di una lunga, lunghissima serie. Purtroppo. I cori razzisti e gli ululati nei confronti dei giocatori di colore sono lo specchio dell’ignoranza che prende voce negli stadi. Di una sparuta minoranza, ci si affretta subito a dire in questi casi. Pur non potendola quantificare (non esiste un indicatore di... stupidaggine) è una minoranza che ancora non si riesce ad estirpare
Ieri l’altro ne ha fatto (nuovamente) le spese Romelo Lukaku, allo Stadium tra la Juventus e la sua Inter. L’attaccante belga è stata soltanto l’ultima vittima in ordine di tempo del vento razzista che continua a soffiare e mortificare il mondo del calcio.
I precedenti
Ne sa qualcosa Kalidou Koulibaly.
Il rosso e la vergogna
Non fece lo stesso, invece, nel giorno di S. Stefano l’arbitro Mazzoleni a S. Siro (era il 2018) contro l’Inter nonostante gli ululati di «tifosi» nerazzurri indirizzati a Koulibaly. Il difensore fu invece espulso dopo un fallo su Politano (doppia ammonizione) per un applauso polemico nei confronti del direttore di gara. A fine partita, l’allora tecnico del Napoli Carlo Ancelotti denunciò l’episodio. «Abbiamo chiesto per tre volte la sospensione del match per gli ululati a Koulibaly. Nonostante gli annunci dello speaker la gara è andata avanti. Ci sono stati ululati per tutta la partita e il giocatore non è stato lucidissimo».
Ed ancora episodi analoghi ai suoi danni a Firenze e a Bergamo negli anni a venire, segno evidente di una vergognosa tendenza che purtroppo non accenna a scemare. Sempre per il colore della pelle. La lista purtroppo è lunga. Lunghissima. Da Boateng a Balotelli, da Eto’o a Muntari.
La prima denuncia
Marc Zoro, nel lontano 2005 (era il 27 novembre), fu il primo a denunciare platealmente quanto stava subendo in campo ad opera dei «tifosi» dell’Inter. In occasione dell’incontro casalingo del suo Messina, il difensore stanco degli insulti prende il pallone e si dirige verso l’arbitro (Trefoloni) con le lacrime agli occhi chiedendogli di fermare l’incontro. Fu la prima volta che un giocatore prese una posizione su quello che era, e che resta, un grave problema sociale.
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